Categoria: antifascismo

Da Roma a Torino. Erdogan assassino!

Lunedì 5 febbraio. A Roma si è tenuto un presidio di protesta per la visita di Erdogan in Vaticano e al Quirinale. Al sit in hanno partecipato circa 500 manifestanti.
In città era stato predisposto un imponente dispositivo di sicurezza.
Il presidio si è svolto in largo Triboniano vicino Castel S.Angelo, a poche centinaia di metri da S.Pietro. I manifestanti, nonostante polizia a cavallo, finanza e sommozzatori sotto al fiume Tevere, hanno provato a muoversi in corteo fino alla basilica di S. Pietro. La polizia ha caricato, un attivista è stato portato in questura, altri tre sono stati feriti.
La polizia ha circondato i manifestanti, impedendo loro di lasciare la piazza sino a metà pomeriggio. Un sequestro di polizia, per prevenire altri tentativi di protesta.
Ramazan, l’uomo fermato durante la carica, è stato rilasciato con denuncia qualche ora più tardi.
Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Norma del Comitato di solidarietà.

Lunedì 5 febbraio. Il presidio indetto a Torino in occasione della visita di Erdogan al papa-re dello Stato Vaticano e ai capi di stato e di governo italiano si è trasformato in un corteo che è terminato di fronte alla sede Rai.
Il giorno precedente un gruppo di attivist* era entrato nella chiesa di via San Tommaso, chiedendo di leggere un comunicato. Al diniego del prete hanno srotolato uno striscione e letto il comunicato.
Alcuni partecipanti alla messa hanno aggredito i manifestanti.
La polizia, allertata dal prete, ha intercettato alcuni solidali a qualche centinaio di metri dalla chiesa e li ha trattenuti in questura sino al pomeriggio, quando sono stati rilasciati con l’accusa di “interruzione di cerimonia religiosa”.
Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Paolo – Pachino – Andolina, ex combattente dell’Antifa Tabur

Da oltre 10 giorni il potentissimo esercito turco bombarda il cantone di Afrin in Siria. L’operazione “Ramoscello d’ulivo” mira a distruggere la rivoluzione libertaria e femminista della Siria del nord, dove si sperimenta il confederalismo democratico.
Gli uomini e le donne di questa rivoluzione hanno sconfitto l’Isis, protetta e sponsorizzata dagli islamisti turchi di Recep Erdogan.
L’Europa, l’Italia in prima fila, ha pagato la Turchia perché fermasse i profughi siriani.
Gli interessi italiani in Turchia sono enormi. Nel pomeriggio del 5 febbraio, dopo le visite a Bergoglio, Gentiloni e Mattarella, Erdogan ha incontrato gli AD delle maggiori industrie italiane.
Il bagno di sangue ad Afrin è merito anche di armi made in Italy.
I governi europei, la Russia e gli Stati Uniti, dopo aver usato le milizie del Rojava per sconfiggere l’Isis, ora appoggiano o giustificano l’attacco al confederalismo democratico in Rojava.
Il governo turco ha massacrato i resistenti delle città insorte nelle aree curdofone, ha raso al suolo città e quartieri, obbligando la popolazione a prendere la via dell’esilio, allargando la grande diaspora curda.
Migliaia di oppositori politici sono in galera, migliaia di insegnanti e dipendenti pubblici hanno perso il posto. Decine di giornali sono stati chiusi e i giornalisti arrestati.
La Turchia è una dittatura democratica e confessionale che bussa alle porte dell’Europa, mentre massacra la gente di Afrin.

Ascolta l’approfondimento dell’info di radio Blackout con Stefano Capello sugli interessi che legano l’Italia alla Turchia. Interessi al centro dell’incontro tra la delegazione turca e i rappresentanti delle maggiori imprese italiane, non ultime quelle armiere, che riforniscono di elicotteri e aerei da guerra l’aviazione di Erdogan, impiegati contro la popolazione della Siria del nord.

Prossimo appuntamento a Torino:

Domenica 11 febbraio
corteo defendAfrin a Torino
ore 14 piazza Carlo Felice – Porta Nuova

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Milano. Per la libertà dei prigionieri politici in Turchia

Se ne parla poco. Pochissimo. La Turchia si è trasformata in una dittatura democratica ma in Italia il silenzio è di tomba. La Turchia, ben pagata per il lavoro sporco, impedisce il passaggio di migranti e profughi di guerra in Europa.
Un servizio prezioso per tutti i governi europei, che sul controllo delle frontiere giocano le proprie fortune elettorali.
Solo pochi organi di stampa e la rete testimoniano la durissima repressione, le carcerazioni di massa, le torture contro gli oppositori politici nel regno di Erdogan.

Le città e i quartieri rasi al suolo dai bombardamenti dell’esercito turco durante l’insurrezione di due anni fa, sono ora in mano ai cementificatori, che ricostruiscono le case per nuovi abitanti, mentre quelli vecchi vengono spinti ad emigrare, ad ingrossare le fila della grande diaspora curda.

Il corteo, che ha attraversato il centro cittadino lo scorso sabato è stato un tentativo di stracciare la coltre di silenzio che avvolge la durissima repressione in Turchia.

Convocato dall’Ufficio informazioni sul Kurdistan in Italia e dalla rete Kurdistan è stato caratterizzato da una forte partecipazione della comunità curda milanese e di varie altre città.

Meno significativa la partecipazione dei movimenti di opposizione sociale, che sin dall’assedio di Kobane avevano fornito appoggio materiale e politico alla rivoluzione democratica e confederale in Rojava. La scelta delle organizzazioni curde di spostare l’asse delle loro alleanze sulla sinistra istituzionale, complice delle politiche di sostegno al governo turco, ha fatto sì che sia le adesioni formali sia la partecipazione diretta fossero inferiori a quelle degli anni precedenti.

Evidentemente la durezza del momento ha indotto la leadeship curda nel nostro paese ad una realpolitik che paga poco in piazza.

Ascolta la diretta dell’info di radio Blackout con Massimo, un compagno milanese, tra quelli che, pur non aderendo al corteo, vi ha preso parte in sostegno alla lotta per la liberazione dei prigionieri politici in Turchia.

http://radioblackout.org/2017/10/milano-per-la-liberta-dei-prigionieri-politici-in-turchia/

Di seguito il volantino distribuito in piazza dai compagni della Federazione Anarchica di Milano.

NOI NON ABBIAMO DIMENTICATO che l’esordio della dittatura a viso aperto in Turchia fu l’elezione di un guappo del Fondo Monetario Internazionale – Recep Tayyip Erdoğan – che promise e realizzò riforme lacrime e sangue, cancellando con un colpo di spugna i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, per accontentare la finanza internazionale, nel nome dell’Austerity.
NOI NON ABBIAMO DIMENTICATO che la protesta popolare e spontanea aggregatasi nel 2013 in piazza Taksim e presso Gezi Park fu stroncata dalla più feroce e brutale repressione, annegata nel sangue del compagno quindicenne Berkin Elvan e nelle migliaia di anni di prigione comminati a quanti avevano osato alzare la testa davanti al tiranno, bollati da giudici e giornali di regime – in perfetta aderenza col linguaggio politichese giuridico ormai di moda anche in Italia – come terroristi.
NOI NON ABBIAMO DIMENTICATO la pronta adesione di Erdogan al programma d’espansione dell’imperialismo saudita, spalleggiato dagli USA e dall’Unione Europea con consistenti invii di armi, molte delle quali prodotte in Italia, con grande soddisfazione dell’imprenditoria della morte nostrana.
NOI NON ABBIAMO DIMENTICATO il sostegno di Erdogan al Daesh, lo Stato islamico, la punta di diamante della penetrazione saudita in Iraq e Siria. Non abbiamo dimenticato le lunghe colonne di camion cisterna che dalla Siria e dall’Iraq portavano in Turchia il petrolio venduto dalle milizie del terrore al loro protettore di Istanbul; il petrolio sporco del sangue di decine di migliaia di donne Ezide assassinate, vendute come schiave, stuprate e torturate dai miliziani di Daesh; il petrolio che passando per la Turchia e per Israele veniva ricettato da “eroi del nostro tempo” (o imprenditori, se preferite) italiani ed europei.
NOI NON ABBIAMO DIMENTICATO che nella corsa all’islamizzazione in salsa capitalistica del suo disgraziato paese, Erdogan non rinunciò a strumentalizzare gli attentati di Cizre, di Ankara e di Suruç, costati la vita a decine di compagni (e tra questi i libertari Alper Sapan e Evrim Deniz Erol), per appiattire qualunque opposizione nella comoda definizione di ‘terrorismo’. Non abbiamo dimenticato i giornali soppressi, i militanti arrestati, la libertà di pensiero azzerata.
NOI NON ABBIAMO DIMENTICATO la cieca violenza dei bombardamenti turchi del 2015 e del 2016 su Cizre, Nusaybin, Mardin, Amed; non abbiamo dimenticato i civili assediati, i bambini affamati, uomini e donne massacrati dai cannoni e dai cecchini, colpevoli di avere osato ribellarsi al tiranno proclamando la propria autonomia nel nome del Confederalismo democratico e di un modo autenticamente rivoluzionario di pensare il governo: esercitato dal basso da tutte e tutti coloro che vivono il territorio e nel territorio.
NOI NON ABBIAMO DIMENTICATO che le città Kurde distrutte furono oggetto, poco dopo la fine della repressione, di una lucrosa speculazione edilizia, una vera e propria pulizia etnica che cacciava la componente Kurda dal territorio e garantiva ingenti profitti al dittatore ed ai suoi amici imprenditori.
NOI NON ABBIAMO DIMENTICATO che tutto ciò avvenne e tuttora avviene col consenso, vergognoso quanto incondizionato, dell’Unione Europea e dei governi d’Europa, incluso quello italiano, timorosi dell’arrivo in Europa dei profughi in fuga dalla guerra suscitata in Siria dall’appetito degli imperialismi e del capitalismo internazionale. NO! NON ABBIAMO DIMENTICATO i miliardi di euro versati dalla UE nelle casse di Ankara per compiacere la gretta xenofobia europea e finanziare orridi campi di concentramento al confine turco-siriano, dove le famiglie profughe sono imprigionate in condizioni disumane, gli uomini sfruttati quale manodopera a basso costo, i bambini prostituiti. Una degna pietra di paragone per i lager oggi aperti anche in Libia grazie all’infame accordo del governo italiano con i ‘colleghi’ di Tripoli.
Ci limiteremo a piangere le vittime degli attentati, o comprenderemo finalmente che è la nostra stessa apatia a consentire a governi e Capitale di promuovere e finanziare guerre sanguinose per procura nel nome del profitto? Guerre iniziate dai ricchi e per i ricchi, dai potenti per i potenti, ma nelle quali moriranno sempre e solo poveri, di qualunque colore, lingua o religione.
Noi crediamo e affermiamo che il silenzio è il più viscido complice dell’oppressore. Noi crediamo e affermiamo che l’individuo ha dei diritti sino a che è in grado di difenderli, non solo per sé e non solo dove vive, ma per chiunque e in ogni parte del mondo. Noi crediamo e affermiamo che l’unica forza capace di tutelare la dignità di ogni essere umano è quella che proviene dall’unità delle sfruttate e degli sfruttati, delle oppresse e degli oppressi, emancipati da ogni servitù e liberi di autogovernarsi secondo i principi dell’uguaglianza e della solidarietà libertaria. Per questo il 7 ottobre intendiamo portare in piazza la nostra solidarietà internazionalista ai Compagni detenuti nelle carceri turche e a tutti i gruppi che oggi proseguono in Turchia e in Siria la Lotta per la liberazione di genere, la Lotta armata contro l’islamo-fascismo, la Lotta per una società laica e pluralista, la Lotta anti-razzista e anti-nazionalista, la Lotta di classe contro il Capitale, percorsi irrinunciabili e non negoziabili verso l’Avvenire Libertario.

Viva la Rivoluzione Sociale! Viva l’Anarchia!

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Carmagnola: il Comune vieta “Bella Ciao”, il Coro Moro va via

Carmagnola: il Comune vieta “Bella Ciao”, il Coro Moro va via

Il Coro Moro nasce nelle Valli di Lanzo dall’incontro tra attivisti antirazzisti e No Tav e un gruppo di giovani rifugiati ed immigrati africani.

Oggi è una realtà conosciuta in tutto il Piemonte, per il suo repertorio di canzoni popolari piemontesi e di lotta.

La scorsa domenica avrebbero dovuto esibirsi alla Fiera del Peperone di Carmagnola con il loro consueto repertorio. Tra le tante c’è sempre “Bella ciao”.
Il Comune di Carmagnola, non nuovo a queste uscite, chiede ai ragazzi del Coro di cancellare dalla scaletta la canzone simbolo della resistenza al fascismo. L’assemblea del Coro rifiuta e preferisce ritirarsi. Il vicesindaco Inglese si offre di pagare comunque il cachet pattuito di 600 euro purché la notizia non trapeli.
Il Coro Moro rifiuta. In breve la censura di Bella Ciao cantata da un Coro, nato dall’incontro tra attivisti e giovani in fuga da guerra e persecuzioni, buca i media, diventando un boomerang per l’amministrazione di centro destra della città dei Peperoni.

“#CoroMoro canta #bellaciaononsitocca, se no: Ciao!”, è il messaggio lanciato dal gruppo su Facebook.

L’info di Blackout ne ha parlato con Luca Baraldo del Coro Moro.

Ascolta la diretta

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Cacerolazo contro la guerra ai poveri, i comitati razzisti, gli sgomberi a 5 Stelle

Nelle ultime settimane i “comitati spontanei” di destra hanno lanciato l’offensiva contro le baraccopoli di via Germagnano e strada dell’Aeroporto
Lunedì 19 giugno i fascisti e i comitati si erano dati apppuntamento di fronte al comune per chiedere lo sgombero dei campi rom.
In prima fila Forza Italia e Casa Pound con i loro alias, “Noi di Barriera” e “Torino ai torinesi”. Dietro il coordinamento Torino Nord, vicino al Movimento Cinque Stelle, il comitato del nuovo assessore all’ambiente Alberto Unia, che ha accompagnato i razzisti quando si sono spostati in Prefettura.
Sull’angolo di una piazza pesantemente militarizzata, un cacerolazo rumoroso di antirazzisti e anarchici ha accolto con slogan, casseruole, fischietti e numerosi interventi chi da settimane sta alimentando la guerra ai poveri, il razzismo e l’aria di pogrom. In prima fila lo striscione “i rom torinesi come noi”. Una verità banale che, scritta su un pezzetto di stoffa, suscita reazioni sdegnate e stizzite tra chi vorrebbe alimentare il mito della irriducibile e criminale differenza dei rom.
Immorali, ladri, rapitori di bambini, da eliminare. Breve è il passo dall’invettiva all’attacco diretto, alla violenza, ai roghi di baracche, ai pestaggi.
Poco importa che i veri ladri di bambini siano le istituzioni che li portano via ai poveri. Poco importa che le irruzioni, controlli, fogli di via segnino le vite dei più piccoli in maniera indelebile.
Poco importa che nessuno scelga la povertà.
Poco importa che lo Stato italiano da decenni abbia puntato sulla finzione dei “campi sosta” per una popolazione che non è più nomade da generazioni. La fine del nomadismo ha coinciso con la fine dei mestieri tradizionali, ormai residuali in una società dell’usa e getta.
Ma c’è anche chi non ci sta, chi si mette di mezzo, chi resiste ai fascisti e ai dispositivi di marginalizzazione istituzionali, che contribuiscono, sotto una leggera maschera buonista, al perpetuarsi dello stereotipo alle radici dell’antitsiganismo.
Da un balcone qualcuno ha deciso di rinfrescare le idee dei razzisti, tirando qualche secchiata d’acqua sui piccoli duci torinesi e i loro camerati, che, nonostante la calura non hanno gradito la doccia.
Il fragore delle pentole sommerge gli slogan razzisti.

Ascolta la diretta dell’info di Blackout con Emilio, uno dei partecipanti al presidio antirazzista antifascista. Dal suo intervento emerge la difficoltà a superare lo stigma che investe i rom, uno stigma tanto potente, radicato e forte da permeare anche ambiti di movimento che praticano quotidianamente l’opposizione al razzismo, alla pulizia etnica, alla criminalizzazione di interi gruppi sociali ed etnici.
Una chiara lettura di classe fatica ad emergere. Una questione sulla quale è lecito interrogarsi dopo i tanti episodi di violenza fascista e istituzionale contro i rom delle baraccopoli, che si sono susseguiti negli ultimi anni.

Qui il volantino distribuito in piazza dalla Federazione Anarchica Torinese

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I fascisti vogliono la pulizia etnica di rom, immigrati e poveri. Fermiamoli!

Sabato 17 giugno
ore 10,30 / 13 punto info itinerante tra il Balon e San Pietro in Vincoli contro sgomberi, razzismo e attacchi fascisti alle baraccopoli di via Germagnano e strada dell’Aeroporto

Lunedì 19 giugno
ore 15,30 / 18,30
Cacerolazo antifascista antirazzista
in via Garibaldi angolo piazza Palazzo di città contro il presidio dei fascisti di Forza Nuova e dei Comitati razzisti

Una Barriera antifascista e antirazzista
Tira una brutta aria a Torino. Nelle ultime settimane i “comitati spontanei” di destra hanno animato presidi ed attacchi contro i rom.
La maggior parte vivono nelle baraccopoli ai margini della città. Quasi sempre in condizioni terribili. Niente acqua, riscaldamento, luce. Lampadine e televisori sono alimentati da generatori di corrente, quando ci sono i soldi per la benzina. Nelle stufe si brucia quel che si trova.
Ogni giorno all’alba dalla baracche esce gente che gira sino al tramonto per trovare nei bidoni dell’immondizia qualcosa da vendere nei mercati del sabato e della domenica. Pochi fortunati hanno un lavoro – elettricista, badante, addetto alle pulizie – ma nessuno affitta loro una casa.
Ogni giorno escono anche bambini e ragazzini con le cartelle per andare a scuola.
I fascisti di Casa Pound, sotto l’esile travestimento di comitato “Noi di Barriera”, provano a cavalcare il disagio della gente della zona per i fuochi che si levano dal campo di via Germagnano.
Nel mirino dei comitati i “fumi” dei falò accesi per liberare dalle loro guaine i fili di rame. Pochi sanno che i rottamatori di rame sono lavoratori in nero sfruttati da italianissimi imprenditori che si arricchiscono con il loro lavoro.
In questa zona ci sono fabbriche che emettono fumi che olezzano di uova marce, ma la destra punta l’indice contro i rom della baraccopoli.
I poveri che vivono riciclando e vendendo quello che trovano tra i rifiuti sono i capri espiatori ideali, in una delle città più inquinate d’Europa.
Sappiamo bene che quei fumi danneggiano la salute. Ma sappiamo guardare la luna e non il dito che la indica. L’inceneritore di Torino ogni giorno brucia immondizia e produce diossina, rifiuti tossici e filtri da smaltire. Il Comune di Torino potrebbe puntare sul riuso, il riciclo, la riduzione a zero dei rifiuti, chiudendo inceneritori e discariche. Ma sceglie il business.
La salute dei torinesi non interessa né al governo cittadino né a quello regionale, che da anni fa tagli alla spesa sanitaria.

I fascisti soffiano sul fuoco per scatenare la guerra tra poveri, perché chi fatica a vivere nelle nostre periferie non trasformi il disagio in guerra sociale, in lotta contro lo sfruttamento, l’oppressione, il dominio. Contro i padroni che ci rubano la vita e la salute ogni giorno della nostra vita.
Sabato scorso i fascisti hanno provato a scendere in via Germagnano. La gente delle baracche e gli anarchici li hanno fermati. La polizia ha spintonato e minacciato le famiglie, i bambini, dando copertura ai fascisti.
La violenza razzista era evidente. La gente non ha mollato. “Vergogna! Vergogna!” gridavano tutti.

I fascisti di Forza Nuova martedì 6 giugno, protetti dalla polizia hanno lanciato fiaccole sulle baracche del campo di strada dell’Aeroporto, facendo scoppiare incendi e seminando il panico tra le famiglie della baraccopoli, fuggite nella notte in mezzo ai rovi. Una bambina di tre anni è stata trovata solo dopo tre ore di affannose ricerche tra il buio e le urla razziste.
Il comitato “Torino ai torinesi” sta facendo leva sulla famiglia di Oreste Gianotto, morto lo scorso anno in un incidente in cui era coinvolta una ragazza del campo. Una vicenda dolorosa che, ad un anno di distanza, viene usata per invocare la pulizia etnica. La ragazza dopo un’ora dall’incidente si costituì alla polizia.
Ai fascisti non basta. Per loro la responsabilità è collettiva, perché gli abitanti del campo sono considerati “naturalmente criminali”. I triangoli neri erano messi sulle giacche dei rom e dei sinti mandati a morire nei lager razzisti. La logica è la stessa. I fascisti vogliono il pogrom, le fiamme, come alla Continassa e in via Vistrorio anni fa.
Appendino non ha – ancora – trovato i soldi per imitare Fassino, che sgomberò il campo di lungo Stura Lazio, spendendo cinque milioni di euro per la sua famelica corte di associazioni e cooperative del “sociale”.

I fascisti puntano il dito sulla giunta pentastellata, colpevole di non aver mantenuto la promessa di sgomberare le baraccopoli rom della città.
In realtà, da diversi mesi, è in corso uno sgombero strisciante dell’area, posta sotto sequestro dalla magistratura, perche dopo decenni di discariche legali ed abusive, la responsabilità dell’inquinamento viene rovesciata sugli ultimi arrivati, i rom immigrati dalla Romania.
Appendino gioca sul ricatto, la divisione, la paura. Ogni due o tre settimane scattano retate improvvise, con fogli di via e deportazioni dei senza documenti: le baracche degli esiliati vengono abbattute.
Agli altri raccontano la favola che se non protestano verranno risparmiati. In questi giorni Appendino ha nominato assessore “all’ambiente” Unia, uomo dei “Comitati”, per gettare in strada uomini, donne e bambini.

I rom sono nostri vicini di casa, gente della Barriera. Sono più poveri di tanti altri ma come tutti vorrebbero una casa e una vita migliore. Non hanno scelto le baracche e i bidoni dell’immondizia. I fascisti vogliono i roghi, vogliono la pulizia etnica. Il prossimo lunedì saranno di nuovo in piazza.

Fermiamo la guerra ai poveri, ai rom, agli immigrati!

Fermiamo i comitati razzisti!

Fermiamo lo sgombero a Cinque Stelle!

Casseruolata antifascista e antirazzista in via Garibaldi angolo via Palazzo di città lunedì 19 giugno dalle ore 15,30 alle 18,30

Federazione Anarchica Torinese
corso Palermo 46
riunioni, aperte agli interessati, ogni giovedì alle 21

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Fermati i fascisti al campo rom. Cariche e fermi

Torino, 10 giugno. Casa Pound da mesi tenta di sbarcare in Barriera di Milano.
Il comitato “Noi di Barriera” è l’esile travestimento che usano per tentare di guadagnarsi un posto nel pulviscolo dei comitati delle tante anime della destra cittadina.
In autunno ci provarono nella zona del mercato di piazza Foroni ma rimediarono una magra figura e furono obbligati ad andarsene con la coda tra le gambe.

Casa Pound prova ora a cavalcare il disagio della gente di Barriera Nord per i fuochi che ogni tanto si levano dal campo. Da anni, in questa zona dove ci sono numerose fabbriche che emettono fumi che olezzano di uova marce, la destra punta l’indice contro i rom della baraccopoli di via Germagnano.
I poveri che vivono riciclando e vendendo quello che trovano tra i rifiuti sono i capri espiatori ideali, in una delle città più inquinate d’Europa.

Sul ponte sulla Stura intorno alle 16 ci sono una quarantina di fascisti con tricolori.
Dall’altro lato della strada alcuni abitanti del campo monitorano la situazione.
La polizia chiude dai due lati corso Vercelli per consentire ai fascisti di attraversare la strada per scendere in via Germagnano. Il piccolo duce torinese, Racca, si esibisce davanti alla telecamera di un camerata, lamentando un inesistente blocco della polizia. I fascisti cominciano a scendere.

In via Germagnano sale la rabbia degli abitanti che mettono due auto di traverso. Poi un gruppo di anarchici della FAT con lo striscione “I rom: torinesi come noi” si muovono per fermare i fascisti assieme ad alcune famiglie del campo. La celere guidata dalla digos scende di corsa e fa una breve carica. Qualche colpo di scudo, insulti e minacce per anarchici e famiglie. Tantissimi i bambini e i ragazzini.
La violenza razzista è evidente. La gente non molla. “Vergogna! Vergogna!” gridano tutti. La tensione è molto alta. Poi le solite associazioni “amiche dei rom” e finanziate dall’amministrazione cittadina diffondono ad arte la falsa notizia che tutto era a posto e la gente poteva tornare a casa. Qualcuno si allontana, diversi ragazzi invece restano. I fascisti non passano.
Casa Pound, andandosene, ha lasciato lo striscione sul ponte. In un batter d’occhio lo striscione viene strappato. Tre compagni vengono fermati, minacciati dalla polizia che solidarizza con un paio fascisti accorsi nel frattempo. Arriva qualche solidale. I compagni vengono rilasciati.

Casa Pound sta cercando di sottrarre a Fratelli d’Italia l’iniziativa razzista contro i campi rom. Devono fronteggiare la concorrenza di Forza Nuova, che martedì 6 giugno, protetta dalla polizia ha lanciato fiaccole sulle baracche del campo di strada dell’Aeroporto, facendo scoppiare incendi e seminando il panico tra le famiglie della baraccopoli, fuggite nella notte in mezzo ai rovi. Una bambina di tre anni è stata trovata solo dopo tre ore di affannose ricerche tra il buio e le urla razziste.
Il comitato “Torino ai torinesi” sta facendo leva sulla famiglia di Oreste Gianotto, morto lo scorso anno in un incidente probabilmente provocato da un’abitante del campo, poi costituitasi alla polizia.
Una vicenda dolorosa che, ad un anno di distanza, viene usata per invocare la pulizia etnica. La responsabilità è collettiva, perché gli abitanti del campo sono considerati “naturalmente criminali”. I triangoli neri erano messi sulle giacche dei rom e dei sinti mandati a morire nei lager razzisti. La logica è la stessa. I fascisti vogliono il pogrom.

I fascisti puntano il dito sulla giunta Appendino, colpevole di non aver mantenuto la promessa di sgomberare le baraccopoli rom della città.

In realtà, da diversi mesi, è in corso uno sgombero strisciante dell’area, posta sotto sequestro dalla magistratura, perche dopo decenni di discariche legali ed abusive, la responsabilità dell’inquinamento viene rovesciata sugli ultimi arrivati, i rom immigrati dalla Romania.

Appendino attua uno sgombero strisciante, giocando sul ricatto, la divisione, la paura.
Ogni due o tre settimane scattano retate improvvise, vengono distribuiti fogli di via e qualche deportazione, mentre le baracche degli esiliati vengono abbattute.
Agli altri raccontano che se non protestano verranno risparmiati.

Appendino non ha trovato i soldi per imitare Fassino, che sgomberò il campo di lungo Stura Lazio, spendendo cinque milioni di euro per la sua famelica corte di associazioni e cooperative del “sociale”.
Ma ai fascisti non basta. Vogliono i roghi e preparano nuove iniziative.

Lunedì 12 giugno ore 21
assemblea antirazzista e antifascista nei locali di radio Blackout in via Cecchi 21A.

Mercoledì 14 giugno ore 10,30
volantinaggio al mercato di via Porpora

Sabato 17 giugno ore 10,30 / 13 punto info itinerante tra il Balon e San Pietro in Vincoli

www.anarresinfo.noblogs.org

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Contro tutte le gabbie. Per uno spazio pubblico non statale. No Zoo(m), no privatizzazione

Lo zoo a Torino venne chiuso 30 anni fa. Torino fu tra le prime città a mettere la parola fine ad una terribile storia di reclusione e sofferenza.
Una storia che potrebbe ricominciare tra breve. La giunta a Cinque Stelle, che governa la città da un anno, ha confermato la scelta dell’amministrazione targata PD di trasformare l’area del parco Michelotti in un nuovo zoo. Uno zoo al passo con i tempi, dove accanto ad alcuni animali “esotici” avremo una “fattoria didattica”, il mulino bianco con animali vivi a recitare su un canovaccio da favoletta disney. La realtà degli allevamenti veri è molto diversa: sono luoghi di tortura e morte, per produrre carne, uova, pelle, piume, latte, salumi.

Il progetto della società Zoo(m) consentirà al comune di fare cassa. Il business è business. I soldi non puzzano. Poco importa che poco più di un anno fa Appendino avesse fatto grandi promesse pur di ottenere una manciata di voti in più.

Noi non abbiamo votato nessuno e non abbiamo nulla da recriminare.
Ci spiace tuttavia che tante persone si siano illuse che qualcosa in città sarebbe cambiato.
Oggi sappiamo che occorreva che tutto cambiasse perché tutto restasse come prima.

Nelle periferie ci sono ovunque divieti e posti di blocco. Le retate a caccia di immigrati senza documenti, per cacciare chi non ha casa né reddito sono diventate normali.
Nuove gabbie per uomini, donne e altri animali si moltiplicano. Il ministro dell’Interno Minniti ha dichiarato guerra ai poveri. Le leggi approvate dal parlamento prescrivono il moltiplicarsi delle prigioni per migranti senza documenti. I sindaci hanno ora il potere di vietare ai poveri di vivere in certe zone della città. In difesa del “decoro”. Quando la sicurezza coincide con il decoro crescono le zone rosse e i divieti.

Lungo le rive del Po c’è un’area cintata, chiusa con un lucchetto, dove vivono senza chiedere il permesso uomini, piante e animali.
Non basta dire no allo Zoo(m). Occorre riprendersi la libertà di decidere senza deleghe né padrini politici.
Occorre mettersi di mezzo, bloccare i lavori, occupare il parco e farne un luogo di resistenza. Non è facile? Senza dubbio!
La logica della pressione istituzionale è comunque perdente. Carte bollate e ricorsi respinti dimostrano che non si può giocare una partita con le carte truccate. Ormai dovrebbe essere evidente a tutti.

Al parco Michelotti e in tutta la città possiamo trasformare le zone rosse in luoghi liberi, battendo la logica del business e la città vetrina. La smart city, al centro di un reticolo comunicativo e di un’offerta di “svago” redditizio, mette a valore l’immagine, nascondendo la violenza delle relazioni sociali, dello sfruttamento umano e animale.
Noi crediamo che la liberazione animale e quella umana vadano di pari passo. La liberazione animale scissa da un percorso di lotta antifascista, antirazzista, antisessista non ci interessa.
Due anni fa eravamo nel campo rom di via Germagnano mentre fascisti con le fiaccole e certi animalisti sfilavano per chiedere lo sgombero e la distruzione delle baracche dove vivono uomini, donne e bambini.
Eravamo al campo rom di Lungo Stura Lazio quando si è consumata l’ultima fase dello sgombero e della demolizione delle casette di tanta povera gente. Dopo la polizia sono arrivati quelli del canile armati di gabbie per deportare i cani e i gatti che abitavano lì. Siamo orgogliosi di esserci messi di mezzo anche in quell’occasione.

Al Parco Michelotti abbiamo la possibilità di trasformare la finzione partecipativa in realtà.
Dipende solo da noi. Possiamo abbattere le recinzioni e decidere insieme come vivere e attraversare questo luogo nel rispetto di quello che c’è, offrendo a tutti la possibilità di aprire uno spazio veramente pubblico. Pubblico e non statale. Autogestito da chi è interessato ad averne cura.

Federazione Anarchica Torinese

Corso Palermo 46 – le riunioni, aperte agli interessati, sono ogni giovedì alle 21

(questo volantino è stato distribuito a Torino in queste settimane)

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25 aprile. Il filo delle lotte

Nello spazio urbano le tracce del passato sono anche snodi di una memoria che si alimenta grazie alle lotte che ri-attaversano le strade, le piazze, i posti dove si lavora, si studia, ci si incontra per fare nulla.
Oggi la spalletta del ponticello su un canale ormai interrato da decenni è naturale luogo di incontro per i nuovi abitanti del quartiere, che si affacciano curiosi ogni 25 aprile, quando gli anarchici della FAT si ritrovano per intrecciare i fili rossi e neri che legano le lotte di ieri a quelle di oggi.
La sera precedente una veloce contestazione alla fiaccolata istituzionale ha messo al centro la campagna di lotta al fascismo che ritorna nelle leggi sulla sicurezza urbana e i migranti.
Un anziano senegalese si avvicina e chiede della storia della città dove vive da qualche tempo, dopo lunghi anni in Lombardia. Si parla dell’Italia e della memoria che non c’è, quella di un colonialismo feroce. Lui racconta della Franc’Afrique e ci offre una memoria in grigio, mentre parla del padre, che ha combattuto per difendere dai nazisti la Francia, sebbene desiderasse la fine della dominazione della Republique.
Si avvicina a osserva la lapide che ricorda il partigiano Ilio Baroni, operaio alle ferriere, morto lì combattendo i nazisti. Ci saluta dicendo che vuole saperne di più, passerà a trovarci.
La gente prende e legge i volantini.
Siamo in tanti. Poi una giovane compagna ricostruisce la storia di Baroni, la giovinezza in Toscana, le persecuzioni dei fascisti, l’approdo in Barriera, l’attività clandestina, il confino, la lotta partigiana, i sabotaggi e gli scioperi, il giorno dell’insurrezione. Una compagna più anziana parla dell’oggi, della vita grama, delle lotte che, oggi come allora, attraversano il quartiere.
La memoria è cosa viva finché resta qualcuno che la fa propria. Ogni anno in quest’angolo di Barriera si rinnova un impegno di lotta che ciascuno deve a se stesso, a chi c’era prima e a chi ci sarà dopo.

Qui il volantino distribuito in piazza

Il sabato successivo gli anarchici della FAT sono al Balon contro il Daspo urbano, le deportazioni, i morti in mare. Qui puoi vedere qualche foto

Il sabato precedente erano al corteo antifascista che da piazza Graf ha raggiunto il Valentino. Qui qualche immagine

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25 aprile. Oggi come ieri: per un mondo senza stati, eserciti, padroni

Ilio Baroni, operaio toscano emigrato a Torino negli anni venti, era comandante della VII brigata Sap delle Ferriere.
Le Sap, Squadre di Azione Patriottica sabotavano la produzione, diffondevano clandestinamente volantini antifascisti e si preparavano all’insurrezione. Molti, tra il ’43 e il ’45, sono stati arrestati, torturati, fucilati o deportati. Ilio, nome di battaglia ”il Moro”, è protagonista di azioni di guerriglia.
Il 25 aprile 1945 Torino è paralizzata dallo sciopero generale, scoppia l’insurrezione, la città diventa in breve un campo di battaglia.
Baroni e i suoi attaccano la stazione Dora e si guadagnano un successo. Giunge una richiesta d’aiuto dalla Grandi Motori. Il Moro non esita ad aiutare i compagni nel mezzo di una battaglia furiosa, e cade sotto il fuoco. È il 26 aprile.
Ilio Baroni non potrà vedere il momento per cui ha lottato duramente tutta la vita…

Ma il fascismo non è morto il quell’aprile…
Sfruttamento, lavori precari e pericolosi, morti in mare, leggi razziste, militari per le strade, guerra sono i tasselli del puzzle che disegna il nostro vivere. Oggi come nel 1945 la democrazia è un’illusione di libertà e giustizia, che somiglia sempre più al fascismo.
Anche quest’anno il 25 aprile ci incontriamo alla lapide di Ilio Baroni, lì nel posto dove è caduto combattendo. La pietra che lo ricorda è nel centro del quartiere operaio di Barriera di Milano, all’angolo tra corso Giulio e corso Novara.
Oggi rimane solo un pezzo di muro con la pietra, il nome, la foto scolorita.
Sino ad una trentina di anni fa quel muro era la spalletta di un ponte su un piccolo canale.
Era una zona di fabbriche ed un borgo di operai. Operai combattivi, gli stessi dell’insurrezione contro la guerra e il carovita del 1917, quelli dell’occupazione delle fabbriche, della resistenza al fascismo, gli anarchici che durante gli anni più bui della dittatura mantennero in piedi un gruppo clandestino, la gente degli scioperi del marzo ’43.
Oggi sono quasi del tutto scomparsi anche i ruderi di quelle fabbriche. Delle ferriere, dove lavorava Baroni, restano solo gli imponenti travoni di acciaio in mezzo ad un improbabile parco urbano tra ipermercati e multisale.
Il cuore del quartiere è cambiato. La Barriera aveva resistito agli anni dell’immigrazione dal sud, facendosi teatro di grandi lotte tra fabbrica, scuola, quartiere, eludendo il rischio della guerra tra poveri e del razzismo per costruire un orizzonte comune tra gli sfruttati, gli oppressi. Quegli anni ormai trascolorano nella memoria di chi li ha vissuti, come un’avventura ricca di promesse. Promesse mai mantenute, perché troppa era la fiducia nell’illusione che il partito comunista potesse prendere il potere e cambiare tutto. Gli eredi di quella storia, affogata nei gulag staliniani, impallidita nelle coop rosse diventate imprese come tante, oggi governano il paese in nome del liberismo e all’insegna del manganello.
La gente delle periferie sente in bocca il sapore agre di una vita sempre più precaria.
Oggi vivere qui è più difficile che in passato: non è solo questione dei soldi che mancano e del lavoro che non c’è, e, se c’è è sempre più nero, pericoloso, precario. C’è un disagio diffuso che non sempre si fa percorso di lotta, ci sono fascisti, leghisti e comitati spontanei, che soffiano sul fuoco cercando di alimentare la guerra tra poveri, puntando il dito contro i tanti immigrati africani, magrebini, cinesi, rumeni, peruviani che ci abitano.
Il governo della città è stato per decenni nelle mani degli eredi di Togliatti, il comunista che ha graziato i fascisti, i repubblichini torturatori ed assassini, e seppellito in galera gli anarchici che hanno combattuto il fascismo prima e dopo le date ufficiali della resistenza. Gli stessi che hanno imbalsamato la Resistenza, rinchiudendola in una teca avvolta nel tricolore.
Oggi governano i Cinque Stelle. Bisognava che tutto cambiasse perché ogni cosa restasse come prima. La nuova sindaca è apprezzata dalle banche e dai padroni. Qualcuno ha creduto alle sue promesse di partecipazione, ma sta scoprendo che per i poveri non è cambiato nulla. La sindaca a Cinquestelle ha promesso ai comitati spontanei di quartiere, tutti o quasi promossi dall’estrema destra xenofoba e razzista, la possibilità di cogestire le scelte sul decoro delle periferie. In cambio i comitati dovranno reperire i fondi necessari per la manutenzione degli spazi pubblici. L’idea di decoro dei 5Stelle è identica a quella del governo Gentiloni, che ha fatto una legge sulla sicurezza urbana, che prevede il daspo, il divieto ai poveri di vivere in certi quartieri.

Torino si è trasformata da città dell’auto a vetrina di grandi eventi, un grande Luna Park per turisti, mentre le periferie sono in bilico tra riqualificazioni escludenti e un parco giochi per carabinieri, alpini e poliziotti.
Da qualche anno il vento sta cambiando anche se per ora è solo una brezza lieve.
Noi ogni 25 aprile ci ritroviamo alla lapide: si parla, si brinda, si chiacchiera con chi passa. Non è solo una commemorazione. È la scelta tenace per i tanti di noi che in questo quartiere sono nati e continuano a vivere, di alimentare il venticello che segnala il mutare dei tempi.
Annodiamo i fili della memoria di ieri con le lotte di oggi.
Le lotte che vedono in prima fila altri partigiani, quelli che si battono contro i militari nelle strade, che lottano contro i padroni che si fanno ricchi su chi lavora, che cercano di impedire sfratti e deportazioni, che vanno in strada contro il razzismo e il fascismo.
Oggi come allora i partigiani sono trattati da banditi, terroristi, delinquenti. Oggi come allora la gente delle periferie sta imparando da che parte stare.
I partigiani di Barriera in quel lontano aprile hanno combattuto perché volevano un mondo libero, senza schiavitù salariata.
Il loro sogno continua ogni giorno nella lotta per una società di liberi ed eguali. Senza Stato né padroni.

federazione anarchica torinese
corso palermo 46 – riunioni- aperte agli interessati – ogni giovedì alle 21

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Torino. Contestazione alla fiaccolata del 25 aprile

La sindaca penta stellata Appendino e il governatore democratico Chiamparino hanno aperto la fiaccolata istituzionale del 25 aprile. Quest’anno i No Tav più moderati si sono accodati al corteo, paghi della formale opposizione all’opera della sindaca, del “vorrei ma non posso”.
Un gruppo di anarchici ha aperto uno striscione di fronte al corteo che sfilava, con la scritta “Daspo urbano, fogli di via. Il fascismo ha il volto della democrazia”.

Di seguito il volantino distribuito al corteo.
Il 25 aprile del 1945 Torino insorse. Nelle periferie si combatteva contro la dittatura e l’occupazione militare, per farla finita con i padroni e chi li serviva.
Gli operai delle fabbriche torinesi misero in gioco la vita perché i loro pronipoti non dovessero fare i conti con sfruttamento selvaggio, disoccupazione, precarietà.
I volontari delle Sap non protessero gli stabilimenti per riconsegnarli ai padroni. A decine morirono combattendo strada per strada per impedire ai fascisti e ai nazisti in ritirata di farli saltare. Il loro sogno lo stringevano tra le mani: le fabbriche, come nel 1920, erano di chi ci lavorava.

Oggi come nel 1945 in questa città, capitale degli sfratti e della disoccupazione, la democrazia è un’illusione di libertà e giustizia, che somiglia sempre più al fascismo.
Sfruttamento, lavori precari e pericolosi, morti in mare, leggi razziste, militari per le strade, guerra sono i tasselli del puzzle che disegna il nostro vivere.
La gente delle periferie sente in bocca il sapore agre di una vita sempre più precaria.
Il governo della città è stato per decenni nelle mani degli eredi di Togliatti, il comunista che ha graziato i fascisti, i repubblichini torturatori ed assassini, e seppellito in galera tanti partigiani. Sono gli stessi che hanno imbalsamato la Resistenza, rinchiudendola in una teca avvolta nel tricolore.
Oggi governano i Cinque Stelle. Bisognava che tutto cambiasse perché ogni cosa restasse come prima. La nuova sindaca è apprezzata dalle banche e dai padroni.
Appendino sta imitando Fassino, facendo la guerra ai rom delle baracche lungo la Stura.
Qualcuno ha creduto alle sue promesse di partecipazione, ma sta scoprendo che per i poveri non è cambiato nulla. La sindaca a Cinquestelle ha promesso ai comitati spontanei di quartiere, tutti o quasi promossi dall’estrema destra xenofoba e razzista, la possibilità di cogestire le scelte sul decoro delle periferie.
Torino si è trasformata da città dell’auto a vetrina di grandi eventi, un grande Luna Park per turisti, mentre le periferie sono in bilico tra riqualificazioni escludenti e un parco giochi per carabinieri, alpini e poliziotti.

L’idea di decoro dei 5Stelle è identica a quella del governo Gentiloni, che ha fatto una legge sulla sicurezza urbana, che prevede il daspo, il divieto ai poveri di vivere in certi quartieri. Le nuove leggi scrivono un nuovo capitolo della guerra ai poveri.
Hai perso la casa, vivi in strada, ti arrangi con qualche lavoretto? Cerchi riparo alla stazione, ti siedi sulle panchine, ti infili nella sala d’aspetto di un ospedale? Il sindaco e il prefetto possono multarti e cacciarti dal tuo quartiere, dalla tua città, dall’angolo dove dormi, perché sei un problema per il decoro cittadino. Se sei povero la responsabilità è tua, non di chi si arricchisce sul lavoro altrui, non di un sistema politico e sociale che nega una vita decorosa alla maggior parte della popolazione del pianeta.

Ci raccontano che viviamo nel migliore dei mondi possibili, che liberismo e democrazia garantiscono pace, libertà, benessere. Ci raccontano le favole e pretendono che ci crediamo.

Per il governo chi occupa una casa vuota offende il decoro, i proprietari che affittano a prezzi altissimi sono invece bravi cittadini.
Per la nuova legge chi occupa, oltre alle solite denunce, rischia di essere allontanato dal proprio quartiere, o dalla propria città.
Il sindaco e il prefetto possono importi il Daspo, il divieto ad andare in quei posti. Se ci torni rischi l’arresto.

In questo 25 aprile vogliamo annodare i fili della memoria di ieri con le lotte di oggi.
Le lotte che vedono in prima fila altri partigiani, quelli che si battono contro i militari nelle strade, che lottano contro i padroni che si fanno ricchi su chi lavora, che cercano di impedire sfratti e deportazioni, che vanno in strada contro il razzismo e il fascismo.
Oggi come allora i partigiani sono trattati da banditi, terroristi, delinquenti.
I partigiani in quel lontano aprile hanno combattuto perché volevano un mondo libero, senza schiavitù salariata.
Il loro sogno continua ogni giorno nella lotta per una società di liberi ed eguali. Senza Stato né padroni.

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