La pioggia martellante di questo primo maggio è l’emblema dei tempi duri che siamo forzati a vivere.
Il corteo è stato unitario nel percorso ma profondamente diviso nelle analisi e nelle prospettive. I sindacati di Stato hanno celebrato in piazza l’ultima sconfitta inflitta ai lavoratori dai padroni nella lunga storia di Fiat/RCA/Stellantis. Burocrati comandati, in piazza per cercare di mantenere il loro posto di lavoro, ben sapendo di essere pressoché inutili nel ruolo di ammortizzatori del conflitto sociale, erano la caricatura della lotta di classe.
Quest’anno i confederali, consapevoli della batosta che probabilmente attende i loro partiti di riferimento alle prossime europee e alle regionali, hanno fatto ampie dichiarazioni di apertura anche alle componenti “antagoniste” del corteo, che già lo scorso anno erano entrate in piazza grazie al nuovo corso inaugurato dalla sinistra moderata. Finito il proprio comizio sono filati via cedendo il palco ai loro scomodi alleati.
La pulviscolare diaspora post comunista seguiva pacifisti, associazioni e
un modesto settore del PD. In fondo il cosiddetto spezzone sociale era a sua volta ben diviso tra post autonomi con striscione filopalestinese e neostalinisti.
Pressoché assente il sindacalismo di base, sempre più frantumato, sempre meno capace di intercettare l’enorme disagio sociale di tanta parte di chi vive a Torino.
Lo spezzone antimilitarista e anarchico ha sfilato in coda al corteo aperto dallo striscione
Pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori!”.
In questo ennesimo primo maggio di guerra con slogan, interventi e musica abbiamo portato in piazza le ragioni di chi si batte, giorno dopo giorno, contro il militarismo, le spese militari, l’economia di guerra. Abbiamo denunciato la pericolosa l’illusione che si possano fermare le guerre schierandosi con questa o quella parte in gioco, che si possano disinnescare le spirali di odio e violenza che infiammano tanti conflitti, sostenendo logiche nazionaliste e guerre di religione.
I tempi sono duri. Durissimi.
É sempre più urgente rinforzare le reti antimilitariste, costruire percorsi di lotta e di solidarietà che sappiano mettere in difficoltà padroni e governi, facendo si che la paura cambi di campo.
Questo Primo Maggio è stata l’occasione per rinnovare
il nostro impegno di lotta
per una società di libere ed eguali, per un mondo senza stati né frontiere.

Di seguito il testo che abbiamo diffuso in piazza:

Pace tra gli oppressi, guerra agli oppressori!

Negli ultimi anni i ricchi sono diventati ancora più ricchi, mentre chi era povero è diventato ancora più povero. E va sempre peggio.
Ovunque si allungano le file dei senza casa, senza reddito, senza prospettive. Per mettere insieme il pranzo con la cena in tanti si adattano ad una miriade di lavori precari, sottopagati, in nero, senza tutele.
Ovunque
cresce la lista dei morti e dei mutilati sul lavoro: non sono incidenti ma la feroce logica del profitto che si mangia la vita e la salute di tant*.
Il prezzo di gas e
luce è raddoppiato, tanta gente è sotto sfratto o con la casa messa all’asta. Se non ci sono i soldi per il fitto e le bollette, la tutela della salute diventa una merce di lusso che possono permettersi in pochi.
La lunga strada della normalizzazione delle lotte sociali, partita da Torino nel 1980 con la sconfitta della resistenza operaia in Fiat, sta arrivando al proprio epilogo.
La distruzione delle pur esili tutele conquistate negli anni Sessanta e Settanta va di pari passo con una sempre maggiore repressione delle lotte.
Oggi le questioni sociali sono diventate un affare di ordine pubblico per schiacciare con la violenza poliziesca ogni accenno di insorgenza sociale.
L’insieme di leggi repressive, che, questo governo, in perfetta continuità con i precedenti, sta emanando, rischiano di seppellire in galera compagni e compagne per banali episodi di lotta. Ormai una semplice scritta sul muro, un blocco stradale, un picchetto, un’occupazione, magari coniugati ad uno dei tanti reati associativi, sono trattati con estrema durezza.

I tanti provvedimenti repressivi messi in campo nell’ultimo decennio per dare scacco agli indesiderabili, ai corpi in eccesso, ai sovversivi non sono sufficienti per un governo che ha deciso di mettere sotto controllo l’intera popolazione.
In periferia l’occupazione militare è diventata normale. Anzi! Ogni giorno è peggio.
Intere aree dei quartieri poveri vengono messe sotto assedio, con continue retate di persone senza documenti o che vivono grazie ad un’economia informale.
Torino da città dell’auto si sta trasformando in città dei bombardieri e vetrina per turisti. Una vetrina che i poveri che passano ore ai giardinetti non devono sporcare. L’aspirazione ad avere una socialità non mercificata va repressa.
Il governo a tutti i livelli punta il dito sulle persone più povere, razzializzate, con il continuo ricatto dei documenti, per nascondere la guerra sociale che ha scatenato contro tutti i poveri, italiani e nati altrove, schierandosi a fianco dei padroni grandi e piccoli.
Il controllo etnicamente mirato del territorio mira a reprimere sul nascere ogni possibile insorgenza sociale. Il CPR, la galera amministrativa per senza documenti, è, al pari del carcere, una discarica sociale.
Il governo sperimenta tecniche di controllo sociale prima impensabili, pur di non mettere un soldo per la casa, la sanità, i trasporti, le scuole.
La spesa militare è in costante aumento, le missioni all’estero delle forze armate italiane si sono moltiplicate.
I militari fanno sei mesi
in missioni militari all’estero, sei mesi per le strade delle nostre città.
Tante missioni sono in Africa,
dove le bandiere tricolori sventolano accanto a quelle gialle con il cane a sei zampe dell’ENI, la punta di diamante del colonialismo italiano.
La guerra per il controllo delle risorse energetiche va di pari passo con l’offensiva contro le persone in viaggio, per ricacciarl
e nelle galere libiche, dove torture, stupri e omicidi sono fatti normali.
In un solo giorno il governo spende104 milioni di euro: con la stessa cifrasi potrebbe attrezzare di tutto punto un presidio sanitario territoriale.

Provate ad immaginare quanto migliori sarebbero le nostre vite se i miliardi impiegati per ricacciare uomini, donne e bambini nei lager libici, per garantire gli interessi dell’ENI in Africa, per investire in armamenti, per pagare i militari nelle strade delle nostre periferie fossero usati per scuola, sanità, trasporti.
Ma immaginare non basta. Occorre mutare paradigma.
Servono cambiamenti radicali. Inutile crogiolarsi nella riproposizione di una prospettiva welfarista oggi inattingibile. L’illusione welfarista consegna una delega in bianco allo Stato, che oggi, quando è sotto forte pressione, si limita a elemosine.
Costruiamo assemblee territoriali, spazi, scuole, trasporti, ambulatori autogestiti. Ci raccontano la favola che una società complessa è ingovernabile dal basso mentre ci annegano nel caos della gestione centralizzata e burocratica delle scuole, degli ospedali, dei trasporti. La logica è quella del controllo e degli affari. Occorre spezzarla.
È urgente farlo subito. Con l’azione diretta, costruendo spazi politici non statali, moltiplicando le esperienze di autogestione, costruendo reti sociali che sappiano inceppare la macchina e rendano efficaci gli scioperi e le lotte territoriali.
Un mondo senza sfruttati né sfruttatori, senza servi né padroni, un mondo di liberi ed eguali è possibile.
Tocca a noi costruirlo.

Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista
riunioni – aperte agli interessat* – ogni martedì dalle ore 20 in corso Palermo 46