Torino. Anche quest’anno gli antimilitaristi sono scesi in piazza contro le celebrazioni militari in piazza Castello.
Il 4 novembre è la festa delle forze armate. Viene celebrata nel giorno della “vittoria” nella prima guerra mondiale, un immane massacro per spostare un confine. Nella sola Italia i morti furono 600.000.
Il 4 novembre è la festa degli assassini. La divisa e la ragion di stato trasformano chi uccide, occupa, bombarda, in eroe.
Oltre cent’anni fa, a rischio della vita, disertarono a migliaia la guerra, consapevoli che le frontiere tra gli Stati sono solo tratti di matita sulle mappe. Interessano a chi governa, ma non hanno nessun significato per chi abita uno o l’altro versante di una montagna, l’una o l’altra riva di un fiume, dove nuotano gli stessi pesci, dove crescono le stesse piante, dove vivono uomini e donne che si riconoscono uguali di fronte ai padroni che si fanno ricchi sul loro lavoro.
Interventi, musica, e performance si sono tenuti in via Garibaldi angolo piazza Castello di fronte alla polizia schierata in assetto antisommossa.
Una lunga giornata di lotta culminata con un breve corteo che è riuscito a raggiungere la piazza dove i militari erano rimasti poche decine di minuti.

All’iniziativa, promossa dal “Coordinamento contro la guerra e chi la arma” hanno partecipato centinaia di persone decise a gettare sabbia nell’ingranaggio della guerra, consapevoli che per fermare le guerre non basta un no: occorre mettersi di mezzo concretamente. La guerra scoppiata con l’invasione russa dell’Ucraina ha le sue basi anche a due passi dalle nostre case, dove ci sono le fabbriche che producono gli armamenti che sono inviati per alimentare il conflitto.
A Torino la prossima costruzione di un nuovo polo bellico di Leonardo in collaborazione con il Politecnico conferma la scelta strategica di affidare il futuro della città alla produzione bellica aerospaziale.
Impedire un destino già scritto dai governi passati e ribadito con forza da quello attuale, in cui il ministro della Difesa Crosetto è presidente del Distretto aerospaziale del Piemonte, è possibile. Dipende da ciascun* di noi.

La solidarietà ai disertori che, dalla Russia e dall’Ucraina, rifiutano di morire e di uccidere per spostare il confine di uno stato, è un modo concreto di inceppare il meccanismo della guerra.
Migliaia e migliaia di persone dalla Russia hanno attraversato i confini disobbedendo all’obbligo di andare in guerra, affrontando la via dell’esilio, rischiando anni di carcere.
In Ucraina le frontiere sono chiuse sin da febbraio per tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni. La debole legge sull’obiezione di coscienza in Ucraina è stata sospesa e le 5.000 domande di servizio civile respinte.
In Russia da mesi c’è un esodo che si è intensificato nelle ultime settimane, dopo la mobilitazione di 300.000 riservisti. Dal 28 settembre anche le frontiere russe sono chiuse per chi non vuole fare la guerra.
Molti altri restano e lottano, nonostante la durissima repressione che colpisce antimilitaristi e pacifisti in entrambi i paesi. In Russia, il 21 settembre, 1386 manifestanti che si opponevano al richiamo dei riservisti sono stati pestati duramente ed arrestati. Si sommano alle migliaia di persone che, sin dai primi giorni dell’attacco del governo russo all’Ucraina, sono scese in piazza per opporsi all’invasione. Molti sono stati poi condannati in base a leggi che sono state rese ancora più severe dopo lo scoppio della guerra.
Numerosi sabotaggi a caserme e centri di reclutamento in Russia sono un altro tassello dell’opposizione russa alla guerra.
In Ucraina c’è chi su posizioni non violente, anarchiche o femministe ha scelto di non schierarsi, di non combattere in questa guerra costruendo reti di solidarietà materiale con le vittime dei bombardamenti, con chi ha perso il lavoro o è obbligat* a turni massacranti
spesso senza paga dalla nuova legge voluta dal governo Zelensky.
Chi si oppone alla coscrizione maschile obbligatoria lotta perché le frontiere siano aperte per chi si oppone alla guerra.

Noi facciamo nostra questa lotta contro le frontiere, per l’accoglienza di obiettor*, renitent*, disertor* da entrambi i paesi.

In questi mesi in Italia abbiamo visto scendere in piazza i pacifisti con l’elmetto, i guerrafondai del PD, che si sono opposti alla guerra spedendo armi al governo Zelensky.
In un tripudio di bandiere nazionali ucraine e arcobaleni della pace è stato messo in scena un pacifismo armato, chiaramente schierato con uno dei due imperialismi che si stanno sfidando sulla pelle di chi vive in Ucraina e deve affrontare morte, bombe, paura, coscrizione obbligatoria.
Oggi il PD, passato dai banchi del governo a quelli dell’opposizione, chiede tregue e trattative, cercando di cavalcare la diffusa opposizione alla guerra nel nostro paese.
Dal canto loro i vecchi arnesi dello stalinismo italiano e di certa destra cristiana e super fascista hanno invece difeso l’attacco russo in Ucraina.

Noi non ci stiamo. Noi non ci arruoliamo né con la NATO, né con la Russia. Né con Zelensky né con Putin. Rifiutiamo la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche. L’antimilitarismo, l’internazionalismo, il disfattismo rivoluzionario sono stati centrali nelle lotte del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici sin dalle sue origini. Sfruttamento ed oppressione colpiscono in egual misura a tutte le latitudini, il conflitto contro i “propri” padroni e contro i “propri” governanti è il miglior modo di opporsi alla violenza statale e alla ferocia del capitalismo in ogni dove.
Le frontiere sono solo linee sottili su una mappa: un nulla ch
e diventa tragicamente reale quando militari ben armati lo trasformano in barriera invalicabile. Ma sempre c’è chi, anche a rischio della vita, le attraversa. Cancelliamole!