Il sapore tiepido della primavera avvolge piazza Castello. Il corteo parte dopo un’ora di musica e interventi.
Le voci si moltiplicano lungo tutto il percorso. La storia passata e recente delle prigioni per migranti, la ferocia della macchina delle espulsioni, le vite spezzate
lungo le frontiere militarizzate in mare e in montagna, la vicenda di Moussa, morto tre anni fa in una cella di isolamento del CPR di Torino, quella di Ousmane Sylla impiccato in quello di Roma sono state ricordate da chi ha preso parola. Uno striscione esprimeva solidarietà a Jamal, un compagno pescato in strada dalla polizia di Torino, e, nonostante il tentativo generoso di liberarlo dei suoi compagn*, finito al CPR di via Corelli a Milano. Descritto come un criminale per nascondere il fatto banale che lui, come tutti gli altri potrebbe passare un anno e mezzo in una prigione per migranti, perché privo dei documenti europei.
La lotta ai CPR sconta l’enorme difficoltà a comprendere che in quelle prigioni si finisce per quello che si è, non per quello che si è fatto. Ed è una condanna senza processo e senza appello. Il segno che la narrazione democratica è una finzione riservata a chi crede di essere nato nel posto giusto, di essere al riparo dalla violenza e dall’arbitrio dello Stato. Peccato che nella costante guerra ai poveri la linea di demarcazione tra sommersi e salvati è un confine mobile, nel quale rischiano di cadere tutt*. Nat* qui e nat* altrove.
La militarizzazione delle periferie ne è il segnale. Tanti soldi spesi per mantenere in strada tanti burattini in divisa, mentre le vite di chi abita i quartieri “difficili” diventano sempre più precarie.
Il corteo, dopo aver attraversato il centro, si è diretto a Porta palazzo dove ha sostato a lungo. In alto è comparso lo striscione “I CPR uccidono”.
Quello di Torino, bruciato dalle rivolte del febbraio 2023, è chiuso. A noi tutt* l’impegno perché non
riapra mai.

Di seguito il volantino che abbiamo distribuito in piazza:

Senza stati né confini nessuno è clandestino
Nelle prigioni per migranti, i CPR, da mesi si susseguono le rivolte.
La decisione di prolungare la detenzione amministrativa a 18 mesi, nei fatti una vera pena detentiva comminata senza processo,
è stata il detonatore che ha fatto divampare ovunque le proteste.
Da Gradisca d’Isonzo a Milano, da Macomer a Ponte Galeria, da Trapani Milo a Caltanissetta ci sono state ribellioni, fughe e durissima repressione.
Nel frattempo
si esternalizza il sistema concentrazionario con due CPR in Albania.

Il CPR di Torino è chiuso da un anno. Per la prima volta dal lontano 1999, quando i senza documenti erano rinchiusi in container gelidi d’inverno e bollenti d’estate, le rivolte scoppiate in febbraio hanno reso del tutto inagibile una struttura raddoppiata e costruita in muratura nel 2008. Quella di Torino era una delle quattro prigioni amministrative che non avevano mai chiuso i battenti, anche quando l’infuriare delle rivolte portò alla paralisi quasi totale la rete dei Centri.
Le lotte d
ell’inverno 2023 sono state un momento importante di un conflitto durissimo, costato carcere, spostamenti punitivi, botte e deportazione a tantissimi reclusi nell’arco di 25 anni.
A Torino governo e i fascisti soffiano sul fuoco della guerra tra poveri italiani e poveri immigrati, per avere mano libera a fare la guerra a noi tutti.
Prima in Barriera poi in altri quartieri sono arrivati i militari dell’operazione “Strade Sicure”, sei mesi in missioni militari all’estero, sei mesi per le strade della nostra città. Intere aree sono state messe sotto assedio, con continue retate di persone senza documenti o che vivono grazie ad un’economia informale.
Il governo a tutti i livelli
punta il dito sulle persone più povere, razzializzate, con il continuo ricatto dei documenti, per nascondere la guerra sociale che ha scatenato contro tutti i poveri, italiani e nati altrove, schierandosi a fianco dei padroni grandi e piccoli.
Il controllo etnicamente mirato del territorio mira a reprimere sul nascere ogni possibile insorgenza sociale.

I CPR sono un importante ingranaggio della macchina delle espulsioni, necessaria a mantenere intatta la fama di intransigenza verso i “clandestini” di cui si fregia ogni governo.
Le vite intrappolate nei CPR, sospese negli hotspot, in bilico tra carte da bollo e quotidiani abusi di polizia partono da lontano, in terre dove il neocolonialismo, lo sfruttamento delle risorse, le guerre fanno il deserto.
Da anni i governi provano a spostare le frontiere sempre più lontano, in Libia, in Niger, nel Sudan, stringendo accordi con governi e milizie paramilitari perché facciano il lavoro sporco, respingendo e imprigionando la gente in viaggio.
Il Mediterraneo è divenuto un enorme sudario che copre le vite di decine di migliaia di persone morte in mare perché nessuno le soccorre. Chi lo fa, come le navi delle ONG, viene criminalizzato, multato, bloccato.
Alle frontiere est e ovest del Belpaese i migranti muoiono sui valichi alpini
o travolti da un treno in galleria, mentre chi ha le carte “giuste” nemmeno vede la frontiera. Le frontiere sono divenute confini mobili su cui si misura l’esclusione verso i poveri.
Le frontiere sono linee fatte di nulla su una mappa: diventano vere solo quando ci sono truppe armate a sorvegliarle, selezionando chi può passare e chi no.

La legislazione sull’immigrazione nel nostro paese ha delineato una rottura dell’ordine liberale, configurandosi come “diritto amministrativo del nemico”. Con “diritto del nemico” si intende un corpus legislativo, per cui alcuni gruppi umani (stranieri, sovversivi, fuori norma, folli, disabili) vengono perseguiti per quello che sono e non per quello che fanno.
Nel nostro paese si è clandestini per legge. Entrare “legalmente” è impossibile: per avere
il permesso di soggiorno serve un contratto di lavoro firmato nel paese d’origine. Quanti padroni conoscete che assumono a scatola chiusa un lavoratore mai visto, in un paese a migliaia di chilometri dall’Italia?
Nessuno di quelli che arrivano ha le carte in regola.
Chi incappa in un controllo prende il foglio di via, se viene ripescato finisce al CPR.
La storia dei CPR – un tempo CIE e prima ancora CPT – è storia di rivolte, fughe, pestaggi, scioperi della fame, gente che si taglia, altri che si cuciono la bocca. I CPR italiani sono stati distrutti e ricostruiti più e più volte.

I CPR sono, con le carceri, discariche sociali nelle quali vengono rinchiusi quelli che non si sono adattati, quelli inghiottiti dalla strada, i ribelli, gli scarti da eliminare alla fine di un processo che comincia nei paesi d’origine.
Partono i più giovani, i più sani, quelli che hanno reti familiari in grado di offrire le risorse per intraprendere un viaggio che può durare anni.
É la prima selezione. Chi sopravvive al viaggio, alle torture e agli stupri nei lager libici, ai pestaggi sulla rotta balcanica, deve affrontare la vita clandestina in Europa.
T
utt* lavorano in nero, senza possibilità di affittare una casa, avere un medico, immaginare un futuro. Chi, dopo anni, riesce ad avere un contratto è sempre sotto ricatto, perché se non si piega al padrone e perde il lavoro, perde anche i documenti che lo rendono “legale”.
Ad ogni tappa di questo feroce gioco dell’oca, qualcuno non ce la fa e finisce negli ingranaggi della macchina delle espulsioni.
Il mancato accesso ai diritti di cittadinanza finisce con il declinarsi in negazione dei diritti umani. In realtà “i diritti umani” sono solo la cartina di tornasole che rende visibile l’esclusione di tanta parte di coloro che vivono su questo pianeta. Un’esclusione non tanto dai diritti, ma dallo stesso consesso umano.
Farla finita con la clandestinità, i morti in viaggio, le prigioni per migranti significa farla finita con stati, frontiere, eserciti, padroni, sfruttamento.
Significa farla finita con un’ordine del mondo intollerabile.

Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista
Corso Palermo 46
Riunioni – aperte agli/le interessat* -ogni martedì alle 2
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