San Didero. Il 17 aprile migliaia di persone, in barba ai divieti imposti dalla questura, sono partite in corteo contro l’occupazione militare della Valle.
Nel primo pomeriggio un’assemblea di amministratori e tecnici No Tav si è tenuta in piazza Europa, perché la Questura aveva vietato ai sindaci di San Didero e Bruzolo di svolgere l’iniziativa nel piazzale di fronte all’area invasa da blindati sin dalla notte tra il 12 e il 13 aprile.
In quel momento un gruppetto di No Tav resisteva ancora nella casina sul tetto del presidio nel bosco. Resteranno lì sino al martedì successivo, quando interverranno i vigili del fuoco, per tirare fuori dal bidone di cemento in cui si erano incatenati, gli ultimi due, rimasti senz’acqua e cibo.
Il presidente dell’unione dei comuni Pacifico Banchieri, durante l’assemblea, si è speso nel prendere le distanze dalle condotte “violente” dei manifestanti, senza dire una parola sui lacrimogeni sparati diritti sulle persone, sulle manganellate e sugli idranti usati durante lo sgombero e nelle giornate successive.
Le profonde ambiguità di Banchieri, anche rispetto al Tav, sono note, ma la strenua volontà di ambiti ancora significativi del movimento di non recidere un cordone ombelicale inutile e dannoso per l’autonomia del movimento, rende difficile una contestazione aperta alle esternazioni di Banchieri. Il dissenso dei più si è limitato al silenzio, quasi senza applausi, che ha segnato la fine del suo intervento.
La risposta a chi ci vorrebbe divisi tra buoni e cattivi, a chi vorrebbe una divaricazione tra le marce pacifiche e le azioni dirette, è stata quasi immediata. Al termine della kermesse dei sindaci tutt* sono partiti in corteo, sfidando i divieti, la zona rossa di polizia, la paura della violenza degli uomini e delle donne in divisa.
Il corteo si è mosso verso Bruzolo, l’altro paese investito dall’occupazione militare, poi ha oltrepassato la Dora e si è fermato per fare interventi. Nel frattempo, sull’autostrada, è comparsa una barricata di sterpaglie e rottami che ha bloccato la A32 per un paio d’ore.
Il corteo si è concluso sul piazzale delle acciaierie con un saluto ai resistenti della casina sul tetto.
In serata, durante un’azione di disturbo alle truppe di occupazione, la polizia ha sparato lacrimogeni mirando alle persone. Una ragazza è stata gravemente ferita: un candelotto le ha fracassato il volto. É finita in ospedale con fratture multiple e commozione cerebrale. Nei giorni successivi è stata sottoposta ad un delicato intervento maxillo-facciale, per cercare di salvarle l’occhio.
Inutile dire che le forze del disordine statale negano ogni responsabilità per l’accaduto.
In settimana in ogni dove ci sono state azioni solidali con i No Tav.
Il 25 aprile, dopo un giro per i cippi dei partigiani di valle, un corteo si è concluso sul piazzale di fronte all’area militarizzata ed ha inaugurato, piazzando una casetta di legno, il nuovo presidio No Tav.
La partita che si gioca qui, come già a Chiomonte, è quella tra lo Stato e una popolazione indisponibile a piegarsi all’imposizione di un’opera utile solo a garantire lauti guadagni alla lobby del cemento e del tondino e ai suoi padrini politici.

Il governo vuole, costi quel che costi, imporre con la forza la realizzazione di una nuova linea ferroviaria inutile, costosissima, nociva per la salute e il territorio.
In ballo c’è molto più di un treno. In ballo c’è la necessità di piegare e disciplinare un movimento che lotta da 30 anni. Nel 2005 un’insurrezione popolare fermò un progetto ormai entrato nella fase esecutiva.
Il governo usò la forza, occupò militarmente il territorio, sgomberò con la violenza le barricate della Libera Repubblica di Venaus, ma fu obbligato a fare marcia indietro. Il governo capì che la valle era ormai divenuta ingovernabile, che la gente avrebbe moltiplicato blocchi e barricate. In quel dicembre nessuno era disposto a tornare indietro, tutti erano protagonisti. L’eco di quanto avveniva in valle attraversò la penisola, suscitando indignazione e simpatia. Le olimpiadi invernali erano ormai alle porte.
Nel 2011, dopo anni di melina, consapevole di aver riportato all’ovile solo qualche politico a caccia di poltrone, il governo decise di usare nuovamente la forza.
Non si fece prendere alla sprovvista: l’avanzata delle truppe di occupazione fu lentissima ma inesorabile, in un continuo crescendo di violenza e repressione.
La danza dei manganelli e dei lacrimogeni e il tintinnare di manette sono stati la cifra di questi ultimi dieci anni.
La realizzazione della nuova linea ad alta velocità ferroviaria, che consegnerà la Val Susa al destino di corridoio logistico per le merci, è giunta al momento dell’apertura dei cantieri.
Siamo prossimi al punto di non ritorno.
La vita degli abitanti cambierà per sempre. Camion carichi di smarino e polveri d’amianto percorreranno la valle a est come a ovest, mettendo a repentaglio la salute di tutti. Il dispositivo militare, dopo l’invasione di San Didero, investe anche zone densamente abitate.
La lucida profezia fatta 30 anni fa dal movimento No Tav rischia di trasformarsi in dura realtà.
L’imposizione violenta dei nuovi cantieri non è l’unico pericolo. L’insidia maggiore è che riemerga l’illusione della delega, nonostante buona parte del movimento si sia vaccinata dopo l’ampia infezione a 5stelle.
La delega istituzionale rilegittima la macchina di chi si arroga il diritto di decidere per noi, di chi giocherà la sua partita ad un tavolo dove il banco vince e prende sempre tutto. Per prima la nostra libertà.
In questi anni liste civiche, referendum, giochi elettorali hanno inghiottito enormi energie, senza alcun risultato, se non quello di allontanare ancora di più le persone dall’impegno diretto, dall’azione sul territorio, dal confronto sulle strategie per mettere in difficoltà l’avversario.
In queste due settimane di lotta a San Didero il movimento sta ritornando con numeri importanti, anche se lontani da quelli di un tempo, sul terreno dell’azione diretta.
La partita che si gioca in Val Susa va ben oltre il treno. Se fosse stata solo una storia di treni sarebbe già finita da un pezzo. In ballo c’è la decisione di essere protagonisti delle scelte che riguardano la propria vita e il territorio dove si è scelto di vivere.
C’è chi chiama tutto questo democrazia. Noi non lo facciamo, perché sappiamo bene cosa sia la democrazia reale: un mero sistema di ricambio delle élite al potere, che costitutivamente tiene tutti lontani dai luoghi dove si decide.
Tante volte la grande favola della democrazia si è sciolta come neve al sole. Ogni volta che libertà, solidarietà, uguaglianza vengono intese e praticate nella loro costitutiva, radicale alterità con un assetto sociale basato sul dominio, la diseguaglianza, lo sfruttamento, la competizione più feroce, la democrazia mostra il suo vero volto.
La democrazia reale ammette il dissenso, purché resti opinione ineffettuale, mero esercizio di eloquenza, semplice gioco di parola. Se il dissenso diviene attivo, se si fa azione diretta, se rischia di far saltare le regole di un gioco feroce, la democrazia si fa discorso del potere che nega legittimità ad ogni parola altra. Ad ogni ordine che spezzi quello attuale.
In queste settimane il governo gioca la carta della paura per tenere lontane le persone da San Didero. Non ci sono riusciti.
I No Tav non sono disposti a ridursi a mero movimento di testimonianza e continuano a mettersi di mezzo.
La scommessa è quella di riuscire ad inceppare il nuovo cantiere fortino, prima che riesca a consolidarsi, prima che la rassegnazione prevalga sull’indignazione.