I folli mesi di quest’anno bisesto e funesto ci hanno abituato a tutto. O quasi. La fantasia di chi ci governa è tuttavia senza freni. L’ultima trovata è trasformare la “guerra” al covid in “guerra” alle birrette e ai cicchetti. Coprifuoco notturni ad orario variabile da regione a regione, divieto di bere alcolici in piedi, chiusure anticipate per bar, pub e ristoranti.
Non senza interessanti corto circuiti, in un tira e molla tra gli interessi dei gestori dei locali e la scelta di puntare l’indice sulle uscite serali. Il nostro tempo libero è una merce come tante. Di qui i provvedimenti mirati ai negozietti più che ai bar di lusso.
La notte è il tempo sospeso dai doveri e dagli obblighi, il regno del superfluo, della vita che prova, senza troppo successo, a prendersi un poco di spazio.
La notte può essere messa in lockdown. Il giorno no: niente deve fermare la catena del “produci, consuma, crepa”.

Sempre di corsa, sempre in moto. Always on running, lo slogan tragico coniato per Bergamo prima che la città e le sue valli venissero travolte dalla corsa senza freni del virus.
Sempre in moto, perché le merci devono circolare, perché la produzione non si deve fermare, perché gli affari contano più delle nostre vite. Vite a poco prezzo, vite in eccesso.
Sempre di corsa.
D
i giorno, quando i bus caricano studenti e lavoratori sino a scoppiare.
Di giorno,
quando in fabbrica e nei magazzini della logistica si corre come formiche nel formicaio.
Di giorno, quando nelle classi pollaio si allunga la lista dei contagiati
e i precari fanno un concorso in piena pandemia.
Di giorno, quando negli ospedali mancano medici, infermieri, oss, medicine, posti letto.

Ben poco è stato fatto, nonostante ci siano stati regalati alcuni mesi di tregua prima che la curva dei contagi si impennasse bruscamente.
Il governo criminalizza la notte per non affrontare le proprie responsabilità nella gestione della pandemia
.
A Torino la sindaca Appendino, di concerto con il comitato per l’ordine e la sicurezza, ha decretato che le piazze pericolose, quelle da chiudere, sono tre.
Santa Giulia, la piazza della movida di “movimento”, che due anni fa insorse contro
un divieto di vendere alcolici, scritto su misura per i negozietti dei bangla.
Un giardinetto prospiciente
via Montanaro, una strada di periferia dove vivono tanti immigrati. E, gettare un po’ di fumo negli occhi, via Matteo Pescatore, una via parallela alla piazza dove c’è la movida “vera”, quella che rende.
Un provvedimento selettivo, ridicolo, studiato per
non scontentare i commercianti del quadrilatero, quelli di san Salvario e della zona dei Murazzi.

Vivere o morire è un terno al lotto. Va da se che chi ha soldi per le cure, grandi case pulite, possibilità di fare comode quarantene, tempo per prendersi cura di se, accesso a cliniche private, tamponi a domicilio se la caverà meglio degli altri.
La retorica della patria comune è solo un pretesto per arruolarci tutti nell’esercito dei fantaccini, sacrificati nel fuoco delle prime linee.
Come bovini al mattatoio. Specie di giorno.

Aggiornamento al 25 ottobre.
Il governo ha decretato la chiusura di bar, ristoranti e pasticcerie alle ore 18. In Piemonte e altre regioni resta il coprifuoco. Forse temono che il virus si diffonda se passeggiamo in qualche via semideserta? O, forse, in un misto di cialtroneria e moralismo, è solo una ginnastica d’obbedienza.
Nelle strade di Napoli i ceti medi impoveriti chiedono tutele al governo. Piccoli e medi imprenditori si ritrovano alleati di fatto con fascisti, negazionisti, autonomi e chiunque punti sul caos sistemico, per guadagnare punti in una partita dai contorni del tutto incerti.