Il 18 marzo ricorrono i 150 anni dall’inizio della Comune di Parigi.

In soli 72 giorni questo grande esperimento rivoluzionario ha cercato di ribaltare totalmente l’esistente mostrandoci chiaramente che l’attuale sistema sociale non è l’unico possibile.

Molti e decisamente attuali gli importanti provvedimenti presi nel tentativo di costruire una democrazia diretta con assemblee popolari e delegati eletti con mandato revocabile, tra cui: la sospensione degli sfratti e la requisizione degli alloggi sfitti; la cancellazione dei debiti; la realizzazione di cooperative autogestite; l’abolizione del lavoro notturno; la parità salariale; una scuola laica, pubblica e gratuita; la formazione professionale anche per le ragazze; la separazione tra Stato e Chiesa; il riconoscimento delle unioni fuori dal matrimonio tradizionale; la cittadinanza per tuttǝ; e molto altro.

Tra coloro che hanno reso tutto ciò possibile vi sono moltissime donne.

Una di loro diverrà suo malgrado il simbolo della Comune di Parigi: Louise Michel.

Louise, nota tra i suoi contemporanei come la Vergine Rossa o la nuova Giovanna d’Arco, è una delle più famose e temibili rivoluzionarie nella storia contemporanea. Ha dedicato tutta la sua vita alla lotta in difesa dellǝ oppressǝ e alla rivoluzione sociale, e per questo ha dovuto subire prigione, deportazione e persino un tentativo di omicidio.

Non a caso la nave finanziata dall’artista inglese Banksy per salvare lǝ migrantǝ nel Mediterraneo porta il suo nome.

Ma chi era Louise Michel?

Per capirlo è necessario ripercorrere brevemente la sua biografia poiché lei stessa non ha mai separato vita privata, azione, pensiero e scrittura.

Louise nasce nel 1830 come figlia illegittima in un castello di un minuscolo paesino della Francia nord orientale.

A vent’anni consegue il diploma di maestra, unico titolo di studio accessibile per le donne dell’epoca, ma non potrà mai insegnare nelle scuole pubbliche perché si rifiuta di prestare giuramento all’imperatore. Lavora così in alcune piccole scuole private e nel 1856 si trasferisce a Parigi dove apre una sua scuola. Si tratta di una scuola profondamente laica, dove si applica una pedagogia attiva, un’educazione integrale che unisce formazione intellettuale e lavoro manuale, e una coeducazione dei generi anticipando di un secolo la creazione delle classi miste. Tutto ciò perché, secondo Louise, il popolo deve emanciparsi non solo economicamente e politicamente, ma anche culturalmente ed intellettualmente.

Il 18 marzo 1871 viene proclamata la Comune di Parigi, una delle più importanti e radicali esperienze di sovversione dell’ordine politico, sociale e culturale.

Louise partecipa attivamente alla difesa dell’insurrezione parigina. In particolare Louise rifiuta di essere relegata in uno stereotipato ruolo di cura e assistenza e rivendica il diritto delle donne a un impegno politico attivo. Per questo motivo Louise, che aveva imparato a sparare ai tirassegni dei luna park, combatte in prima fila sulle barricate.

Quando la Comune viene sconfitta e duramente repressa nel sangue, Louise, che era riuscita a scampare al massacro, si consegna spontaneamente alle autorità per liberare sua madre arrestata al suo posto. Al processo, di fronte ai giudici, rifiuta la difesa e dichiara la sua appartenenza totale alla Rivoluzione Sociale, rivendicando la responsabilità delle sue azioni e chiedendo di essere giustiziata come i suoi compagni uomini.

Louise viene invece condannata alla deportazione e dopo 20 mesi di carcere, nel 1873, è inviata alla colonia penale francese della Nuova Caledonia, nell’Oceano Pacifico meridionale, insieme ad altri 4.500 insorti.

“Il potere è maledetto e per questo io sono anarchica”.

Durante i 4 mesi di viaggio per raggiungere l’isola, Louise riflette sui motivi del fallimento della Comune e giunge alla conclusione che il potere corrompe sempre chi lo esercita.

Da questo momento, e per tutto il resto della sua vita, Louise si considera un’anarchica. Una sostenitrice instancabile della necessità di un Rivoluzione sociale che non abbia come obiettivo la presa del potere ma l’abolizione di tutti i poteri, da raggiungere non tramite avanguardie rivoluzionarie ma attraverso l’azione comune di tuttǝ, senza distinzione di genere e di razza.

Nella colonia penale, Louise rifiuta di avere un trattamento privilegiato rispetto agli uomini, non accetta la grazia nei suoi confronti senza un’amnistia totale per tuttǝ e infine fonda una scuola per gli adulti Kanak con metodi pedagogici radicali.

Cinque anni dopo il suo arrivo, le tribù alleate della popolazione autoctona della Nuova Caledonia, i Kanak, si ribellano contro l’autorità coloniale francese. Quasi tutti i comunardi si schierano con la Francia: decine di deportati prendono volontariamente le armi per difendere il governo francese; molti altri rimangono in silenzio. Louise Michel al contrario sostiene la lotta per l’indipendenza dei Kanak, dando dimostrazione concreta della sua visione internazionalista, antirazzista e anticolonizzatrice, decisamente anomala per l’epoca anche nel movimento socialista.

Dopo 7 anni di esilio, grazie a un’amnistia generale, Louise rientra finalmente in Francia e pochi mesi dopo comincia un tour infinito di conferenze e assemblee per propagandare l’ideale anarchico.

In particolare nel marzo 1883 partecipa, insieme al sindacalista rivoluzionario anarchico Émile Pouget, a una grande manifestazione di disoccupati parigini che si conclude con l’assalto ai forni e in seguito alla quale viene di nuovo arrestata e condannata a sei anni di prigione dove si dedica alla scrittura delle sue Memorie.

Uscita di prigione dopo 3 anni, in seguito a una grazia non richiesta, Louise riprende la sua frenetica attività politica, stringendo e consolidando rapporti con le altre figure più note dell’anarchismo di fine ‘800 tra cui Errico Malatesta, Emma Goldman, Pëtr Kropotkin, Pietro Gori e Sebastien Faure con il quale fonderà il giornale Le Libertaire.

Nel 1888 Louise è vittima di un attentato ad opera di un giovane cattolico che le spara due colpi di pistola. Ferita in modo non grave, non denuncia il ragazzo ma anzi si impegna per la sua liberazione.

Dopo poco è costretta, come tanti altri esuli politici, a trasferirsi per alcuni anni a Londra, dove continua la sua azione politica e dove continua a scrivere e sperimentare in ambito educativo.

Rientrata in Francia, Louise continua i suoi lunghi giri di conferenze, recandosi anche per diversi mesi in Algeria dove il suo passaggio ha lasciato un segno indelebile.

Quando muore, nel 1905, cinquantamila persone assistono al suo funerale, ovviamente senza alcuna cerimonia religiosa.

Fortemente impegnata nella lotta per l’emancipazione femminile, Louise critica la posizione subalterna della donne nella società ma anche all’interno dei movimenti socialisti dove la discriminazione a suo parere è più subdola e nascosta ma comunque presente.

Louise sostiene il ruolo politico delle donne e il loro diritto ad essere delle militanti, ritenendo che il soggetto della rivoluzione debba essere l’essere umano liberato da tutte le catene imposte dalla società contemporanea, che siano di classe, di razza o di genere.

Proprio nel rifiuto totale del ruolo tradizionale assegnato alle donne, si inseriscono le sue riflessioni sulla maternità, la sua condanna all’istituzione del matrimonio e il suo impegno nel promuovere la contraccezione, la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione, l’educazione femminile e i diritti delle lavoratrici.

Louise è anche una pioniera dell’antispecismo, arrivando a collegare la sua spinta rivoluzionaria proprio a una riflessione sulla condizione animale. Scrive Louise: “Per quanto ricordo l’origine della mia rivolta contro i potenti, è stato il mio orrore per le torture inflitte agli animali”. Louise considera infatti la società come un corpo organico dentro cui ogni essere vivente – vegetale, animale o umano – ha diritto di esistenza e per il cui rispetto è necessario combattere. Ogni animale non umano è un individuo che aspira alla libertà esattamente come ogni umano e, come ogni umano, subisce la stessa dinamica oppressiva e la stessa gerarchia.

Oggi si assiste a una timida riscoperta della figura di Louise ma ancora una volta si cerca di relegarla o a un’iconico quanto vuoto simbolo della Comune o a una donna eccezionalmente coraggiosa per la sua epoca, ma bisognerebbe invece riscoprirne la profondità di pensiero e l’attualità delle sue riflessioni politiche che invitano a rifiutare ogni forma di dominio e di potere, rompendo con ogni tipo di discriminazione – di razza, classe, genere, età o specie – in un’ottica autenticamente intersezionale.
Selva Varengo
tratto da Intersezionale