La coop Helios è un’azienda che lavora nel campo del confezionamento in subappalto per un’altra cooperativa, la Santa Maria, che, a sua volta, lavora per Jakala, un marchio con un fatturato di 135 milioni di euro, nel settore delle marketing technologies.
La Jakala ha dei capannoni a Nichelino dove lavorano le dipendenti della Helios e della Santa Maria. Le lavoratrici smistano e confezionano merci che vengono poi spedite in tutta Italia.
Il clima nell’azienda è pesantissimo: le lavoratrici Helios sono inquadrate al livello più basso del CCNL Multiservizi, uno tra i peggiori dei molti contratti presenti in Italia. Sebbene il mero utilizzo dei macchinari comporterebbe un livello di specializzazione che le porrebbe almeno al secondo livello contrattuale, dopo anni di lavoro sono ferme al primo con una retribuzione media che non supera i 900 euro al mese.
Le lavoratrici vengono pagate a giornata e quando vengono sospese non ricevono alcuna retribuzione. Essere sospese non è molto difficile: basta una parola di troppo, una richiesta, una lamentela. É capitato a Martina, una lavoratrice che prima è stata sospesa senza stipendio, poi trasferita a 35 chilometri di distanza pur dovendosi occupare da sola del figlio di 6 anni. La stessa sorte poteva toccare ad un’altra lavoratrice che per paura di ripercussioni non ha denunciato un infortunio dovuto al sollevamento di carichi pesanti. Ora ha un’ernia fuori posto e l’ansia di dover rientrare a lavorare, perché le è stata respinta la richiesta di svolgere una mansione meno pesante.
La lotta alla Jakala ha preso l’avvio con lo sciopero dell’8 marzo: le lavoratrici hanno deciso che era tempo di reagire al nuovo caporalato che le ricatta quotidianamente.
Le lavoratrici hanno manifestato per rivendicare condizioni di lavoro dignitose e salari accettabili: la FLAICA CUB Torino ha avviato una vertenza legale: “Non abbiamo nessuna intenzione di lasciare sole queste lavoratrici sottoposte al ricatto di dover scegliere tra la propria vita e il lavoro”.
Jakala in una breve nota prende le distanze dalla cooperativa Helios, dichiarando che, “come ogni altro fornitore con il qual e Jakala SpA ha rapporti, la Cooperativa Helios è tenuta ad uniformarsi ai principi etici da noi applicati e rispetto ai quali pretendiamo totale aderenza. Ci impegniamo pertanto ad approfondire quanto accaduto, in un’ottica di vicinanza e collaborazione con tutte le persone che a vario titolo collaborano con la nostra realtà”.
L’ipocrisia di chi lascia il lavoro sporco alle cooperative/ombra che si occupano di reclutare manodopera flessibile e ricattabile ed a gestire gli eventuali conflitti. Jakala punta molto sull’immagine, sulla tecnologia, sull’innovazione, l’apertura, l’inclusività. Per Jakala la materialità del lavoro vivo nei propri magazzini risulta imbarazzante.
Il 16 marzo lavoratrici di Jakala, solidali e Flaica hanno dato vita ad un presidio alla sede di Helios, in piazza Derna 227. Durante un incontro con le lavoratrici e due sindacalisti la cooperativa Helios ha respinto le richieste di reintegro, annunciando anche provvedimenti disciplinari nei confronti di chi aveva deciso di non chinare la testa e di lottare.
La vicenda Jakala è peraltro emblematica della condizione lavorativa di settori sempre più ampi di lavoratori e lavoratrici costretti alla precarietà, all’assenza di tutele e garanzie, a salari da fame, in un sistema di appalti e subappalti, che di fatto sono la forma del caporalato del terzo millennio.