In tantissimi hanno dato vita a una giornata di lotta antimilitarista, all’insegna della solidarietà con gli uomini, le donne, i bambini e le bambine che in ogni dove muoiono in guerre fatte per affermare gli interessi di ristrette élite dominanti.
Nel pomeriggio del 24 febbraio, nonostante pioggia, vento e freddo che hanno riportato l’inverno in città, piazza Castello si è rapidamente riempita.
Il ricco canzoniere di Alessio Lega ha accompagnato i tanti interventi che si sono susseguiti.
“No war”, un’enorme scritta di cartone, è stata eretta a lato di Palazzo Madama.
Salvatore Corvaio ha dato vita alla performance antimilitarista “perché?”.

In piazza sono state raccontate le guerre dall’Artsakh al Sudan, due tra le tante cui l’Italia ha contribuito direttamente, fornendo armi e addestratori nel silenzio dei più.
I 120.000 armeni dell’Artsakh, che le truppe azere avevano dichiarato di voler passare per le armi, sono fuggiti dopo l’assedio di un anno e un attacco finale sferrato da truppe rifornite di armi da Leonardo ed addestrate in Italia.
Nei due anni precedenti lo scoppio della guerra civile che ha ridotto in macerie il Sudan, ucciso o obbligato a lasciare le proprie case centinaia di migliaia di persone, l’Italia ha fornito armi alle RSF, le Rapid Support Force di Dagalo, ex comandante degli Janjaweed. In questa guerra Dagalo e i suoi sono tornati al loro sport preferito, quello per cui erano noti da decenni, ossia bruciare i villaggi, stuprare le donne, uccidere gli uomini e arruolare i bambini.
L’Italia contava su Dagalo per bloccare le partenze di migranti da quell’area. Dagalo ricambia il sostegno da par suo, nel silenzio dei media e, purtroppo, di tanta parte dei movimenti.
La piazza torinese del 24 febbraio ha provato a dar voce anche alle vittime di queste e tante altre guerre dimenticate.

A due anni dall’inizio della guerra in Ucraina sono morte centinaia di migliaia di persone e sei milioni quattrocentomila ucraini hanno dovuto abbandonare le loro case per rifugiarsi altrove.
Eppure anche questa guerra, mediatizzata in mondo ossessivo per mesi, oggi resta sullo sfondo.
Sia in Russia che in Ucraina decine di migliaia di persone hanno disertato, si sono rifiutate di abbracciare le armi, sono fuggite o si nascondono. In Russia l’opposizione alla guerra è costata carcere, torture e botte a tantissime persone. Eppure non accenna a scemare.
Negli ultimi mesi in Ucraina reclutatori professionisti fanno irruzione sui mezzi pubblici, nei mercati, nei centri commerciali a caccia di uomini dell’età giusta da catturare e trascinare a forza al fronte. Ma in molte località non hanno vita facile. Sui mezzi pubblici la gente, soprattutto le donne, fanno muro per impedire che gli uomini vengano portati via. Al mercato di Odessa i banchi sono stati chiusi ed una folla ha impedito agli sgherri del governo di fare il loro lavoro.

La guerra, nuovamente devastante, scatenata dopo il feroce attacco di Hamas alla popolazione civile israeliana, con uccisioni, stupri e rapimenti, ha ridotto gran parte delle case, degli ospedali, delle infrastrutture del nord di Gaza ad un cumulo di macerie, obbligando la popolazione a rifugiarsi a Rafah, in una trappola mortale senza possibilità di fuga. I morti, già oltre i trentamila, di cui diecimila bambini, crescono di giorno in giorno tra una popolazione sventrata dalle bombe, senza acqua, cibo, riparo.
Fermare questa guerra è necessario.
Anche in Israele c’è chi rifiuta di arruolarsi, chi non accetta l’occupazione e l’apartheid e li avversa, pagandone duramente il prezzo. A Gaza un documento di giovani gazawi ci dice che, anche in quelle condizioni, c’è chi rifiuta il nazionalismo e la guerra di religione voluta dai governi di entrambe le parti, decise, sia pure con enorme disparità di forze, ad annientare le popolazioni civili.

Il sostegno ai disertori di tutte le guerre è stato uno dei momenti centrali della giornata di lotta antimilitarista.
Disertare la guerra era scritto su uno degli striscioni della piazza.

In ogni dove ci sono governi che pretendono che si uccida per spostare un confine, per annientare i “nemici”, altri esseri umani massacrati in nome della patria, della religione, degli interessi di pochi potenti.

In ogni dove c’è chi si oppone, c’è chi diserta, chi sputa sulle bandiere di ogni nazione, perché sa che solo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di libere e liberi ed uguali che ciascuno di noi porta nel proprio cuore.

A due passi dalle nostre case ci sono le fabbriche che costruiscono le armi usate nelle guerre che insanguinano il pianeta.
Nelle scuole bambine, bambini, ragazze e ragazzi, vengono sottoposti ad una martellante campagna di arruolamento, ad una sempre più marcata propaganda nazionalista.
Nelle strade della nostra città militari armati di mitra e manganello affiancano polizia e carabinieri nel controllo, etnicamente mirato, delle periferie più povere.
Soldati che partono dalle basi e dalle caserme delle nostre città sono impegnate in missioni militari all’estero in Europa, in Medio Oriente e in Africa.
Vogliono farci credere che le guerre sono troppo lontane, che non possiamo fare nulla per contrastarle.
Chi promuove, sostiene ed alimenta le guerre ci vorrebbe impotenti, passivi, inermi. Non lo siamo.
Ogni volta che un militare entra in una scuola possiamo metterci di mezzo, quando sta per aprire una fabbrica d’armi possiamo metterci di mezzo, quando decidono di fare esercitazioni vicino alle nostre case possiamo metterci di mezzo.

La giornata si è chiusa con la piazza che cantava insieme ad Alessio “nostra patria è il mondo intero”.
Un buon auspicio per i tempi duri che siamo forzati e vivere ai quali non intendiamo rassegnarci.