Era il 10 aprile del 1991. Il traghetto Moby Prince, una carretta che non avrebbe mai dovuto prendere il mare, nella rada di Livorno si scontra contro una petroliera dell’ENI.
I soccorsi arrivano alla petroliera, ma non alla Moby Prince, la capitaneria di porto lascia la Moby ed il suo carico umano bruciare senza controllo.
Nessuno dei responsabili della capitaneria e delle compagnie proprietarie verrà mai inquisito: per il tribunale di è trattato di una fatalità. Come avvenuto per la strage di Viareggio a gennaio 2021 e in molti altri casi simili, la magistratura ha scelto di proteggere padroni e istituzioni.
I comitati dei parenti delle 140 vittime non hanno mai accettato quel verdetto e da 30 anni si battono perché la verità, ormai assodata nei movimenti, venga riconosciuta.
L’impegno dei familiari ha permesso in questi anni che la verità si affermasse a livello collettivo, nella società, dissipando gli strati di menzogne costruiti sulla vicenda, ricordando sempre le responsabilità dell’armatore della Navarma Onorato, che faceva viaggiare un traghetto senza le minime condizioni di sicurezza, e della Capitaneria di Porto di Livorno, comandata da Albanese, che non ha soccorso chi si trovava sul Moby Prince avvolto dalle fiamme.
Il Moby Prince non doveva viaggiare. Il traghetto aveva l’impianto antincendio sprinkler disattivato, due radar non funzionanti su tre, aveva malfunzionamenti alla radio legati a cali di frequenza, inoltre il traghetto viaggiava con il portellone di prua aperto, circostanza che avrebbe facilitato la propagazione delle fiamme e dei fumi all’interno del garage del traghetto dopo la collisione con la petroliera Agip Abruzzo.
Come a Viareggio, a Pioltello, ad Andria, come nella strage alla Thyssen di Torino, anche a Livorno nella strage Moby Prince le responsabilità sono chiare. Ad uccidere 140 persone sono stati armatori e manager che per avere maggiori profitti e premi hanno risparmiato sulla sicurezza, sono state le autorità che prima hanno concesso il certificato di navigazione al traghetto, poi non hanno soccorso chi si trovava sulla nave, e infine hanno coperto le responsabilità degli armatori. L’impegno costante dei familiari delle vittime del Moby Prince ci mostra allora quanto sia importante la lotta delle lavoratrici e dei lavoratori per la salute e la sicurezza, ad ogni livello, anche su una sola postazione di lavoro, su un solo mezzo.

Ascolta l’intervista dell’info di Blackout con Giacomo, un compagno che nella strage ha perso il padre ed è lucido testimone dell’omertà di Stato intorno alla strage:

https://radioblackout.org/2021/04/la-strage-della-moby-prince-30-anni-dopo/