“Aborto libero! Assassini”, firmato “A” cerchiata femminista, è la scritta che ha fatto la sua comparsa davanti alla sede del consolato polacco in via Madama Cristina 142 a Torino.

Izabela aveva solo 30 anni. È arrivata all’ospedale di Pszczyna (Polonia) alla ventiduesima settimana di gravidanza, dopo che le si erano prematuramente rotte le acque. I medici hanno tentennato fino alla morte del feto che già evidenziava chiare malformazioni. Giunti al punto di non ritorno è stato applicato un cesareo d’urgenza, ma Izabela non ce l’ha fatta. Era oramai troppo tardi, il suo cuore ha smesso di battere causa shock settico. I fatti si sono consumati a pochi mesi di distanza dalla decisione della Corte Costituzionale – convertita in legge nel gennaio di quest’anno – che rende quasi del tutto impossibile abortire legalmente in Polonia.
Molti medici si trovano ad operare nella paura di praticare l’aborto per non incorrere nelle conseguenze legali imposte da un governo marcatamente nazionalista e cattolico, peraltro già famigerato per i reiterati attacchi alla comunità LGBTQIA+.
In questi giorni le principali piazze del paese hanno ripreso a riempirsi per rivendicare la libertà delle donne di decidere sul proprio corpo e sulla propria vita. Le imponenti proteste e gli scioperi muovono dalla consapevolezza che non si tratta della prima vittima, ma semmai della prima ad essere stata resa nota, e che di questo passo non sarà nemmeno l’ultima.
I cattofascisti al potere vogliono costringere le donne a ricorrere alle rischiose pratiche dell’aborto clandestino, in una cornice di ferri da calza, grucce, decotti al prezzemolo e laghi di sangue.

La libertà di scelta di interrompere una gravidanza indesiderata è sotto costante e crescente attacco anche alle nostre latitudini: L’anno scorso, in piena emergenza pandemica, la Regione Piemonte ha emanato una circolare che fa esplicito divieto di somministrare la pillola abortiva RU 486 nei consultori, in opposizione a quanto era stato stabilito dallo stesso ministero della sanità, limitando perciò l’aborto farmacologico alle sole strutture ospedaliere. La medesima circolare, utilizzando la legge 194 come un grimaldello (la stessa legge che permette che in alcune regioni si arrivi a sfiorare il 100% di obiezione del personale medico), ha disposto che all’interno degli ospedali piemontesi fosse permesso l’ingresso delle associazioni antiabortiste del Movimento per la Vita.

Il 25 novembre ricorre la giornata internazionale contro la violenza di (del) genere. Il nostro impegno quotidiano non può che indirizzarsi verso un contrasto attivo alla reazione patriarcale, che dalla Polonia all’Italia, passa dalla volontà di ridurre la donna a mera incubatrice silente, di relegarla al ruolo di madre, rinchiusa tra i confini domestici della gabbia familiare.
Le tante strade dell’emancipazione femminile vengono attraversate nel segno della solidarietà e del mutuo appoggio, nel netto rifiuto di tante donne di recitare un copione già scritto, e inscritto in un ordine gerarchico e sessista che vorrebbe imporci destini biologicamente determinati.
Rispondiamo tuttə insieme alla violenza patriarcale che nega l’autodeterminazione delle donne e delle soggettività non conformi.
Costruiamo percorsi di lotta che, sottraendosi alla tutela statale, sappiano riaffermare la libertà di scegliere se avere o meno figli/e.
Non possiamo restare a guardare. Ci vogliamo vive e libere!

Prossimi appuntamenti del collettivo anarcofemminista Wild C.A.T.:

Sabato 27 novembre
Giornata contro la violenza sessista degli eserciti
Punto info al Balon dalle ore 10,30