L’incendio che ha distrutto il centro di Moria sull’isola di Lesvos è la conseguenza di politiche che rendevano quest’esito del tutto prevedibile.
La pandemia ha fatto deflagrare una situazione già esplosiva. Gli attacchi dei fascisti, cui il governo ha lasciato il compito di fare il lavoro sporco, la militarizzazione dell’isola, e la crescente insofferenza degli abitanti, il cui reddito dipende dal turismo, messo in crisi dal Covid e dalla propaganda sui profughi-untori danno la cornice che ha portato all’accelerazione dell’ultimo mese.

I migranti sono stati rinchiusi in centri lager sovraffollati in un susseguirsi ininterrotto di quarantene. Solo ad un esponente per famiglia era consentito di uscire dalla struttura per richiedenti asilo. Inevitabile che scoppiasse la rivolta e che qualcuno decidesse di dar fuoco alle mura della propria prigione.
É di questi giorno la notizia che per l’incendio del centro di Moria sono state accusate e arrestate otto persone.

Il nuovo campo-tende militarizzato è stato allestito nella località di Karatepe. Oggi vi sono rinchiusi circa mille profughi. Altre migliaia sono accampate senza acqua né cibo lungo la strada, altre vivono tra le rovine del campo di Moria.
Lo scopo del governo è trasformare le strutture di “accoglienza” per i profughi in vere prigioni, da dove non sia possibile uscire. Il progetto è un nuovo centro completamente chiuso tra mura e filo spinato.
Per fare in fretta, senza incontrare ostacoli, a Lesvos stanno facendo terra bruciata: i due altri centri dell’isola stanno chiudendo. Il centro gestito dalla municipalità e quello autogestito da compagni, che garantivano accoglienza alle persone più deboli, fisicamente o socialmente, saranno cancellati. Poco importa dei bambini, degli anziani, dei malati, delle persone lgbtq+ per le quali i grandi centri rappresentano un pericolo per la salute e per la stessa incolumità personale.
Dopo l’apertura di Karatepe è stato il ministero dell’interno cha diffuso un comunicato in cui si invitava i profughi a diffidare delle strutture autogestite e delle ONG. Un mondo distopico, dove la solidarietà è una colpa e solo lo Stato è investito di autorità morale.
A Lesbo ci sono associazioni diverse tra loro (diversi obiettivi) dalle associaz grandi ong grandi e tantissime piccole associazioni gruppi di compagni Lesbos Solidarity che gestiva il centro autogestito.
È di ieri la notizia che 35 persone sono state inquisite e verranno processate per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e associazione sovversiva.

Da giugno qualcuno è stato deportato ad Atene, senza piani predisporre alcun piano di accoglienza: la gran parte vive in strada. Molti si sono concentrati in piazza Vittoria, dove i compagni hanno portato tende, sacchi a pelo e quanto serviva a rendere meno pesante la loro condizione. Da qualche tempo ogni settimana si susseguono gli sgomberi della tendopoli di piazza Vittoria.

Numerose e diverse per metodi e finalità le associazioni che si occupano di migranti sono tutte sotto attacco.
Un gruppo interessante di Lesvos è “no borders kitchen” che aveva base in uno squat poi sgomberato

Il Governo greco sta facendo deportazioni illegali in Afganistan, Turchia, Siria….
Il network “Borders violing” ha raccolto testimonianze di deportazioni di massa sia via mare che via terra. La guardia costiera greca attua respingimenti, sparando alle barche in arrivo. È stata ipotizzata una sorta di barriera galleggiante in mezzo al mare: una sorta di muro dove l’acqua sostituisce i mattoni.

In futuro sarà sempre più difficile avere contatti diretti con i profughi, isolati in campi e strutture militarizzati. I movimenti provano a spezzare l’isolamento, per dare voce a chi non ne ha e per organizzarsi insieme nelle lotte d’autunno. La strada è in salita.

Ascolta la diretta di Blackout con Giulio, un compagno che vive in Grecia:

https://radioblackout.org/2020/09/immigrazione-violenza-di-stato-in-grecia/