Quest’anno il G7, la rete che unisce i sette paesi più industrializzati, è presieduta dal governo italiano. Il summit finale, cui parteciperanno i capi di Stato, si terrà a Bari in giugno.
Dal 28 al 30 aprile si svolgerà nella reggia di Venaria il vertice dedicato ad energia ed ambiente.
La scelta di mettere insieme queste due tematiche, facendo convergere a Venaria i ministri e i loro sherpa, è in se indicativa della volontà di considerare la tutela ambientale una variabile dipendente dagli orientamenti in materia di energia, con un ben chiaro rapporto gerarchico.
Se si pensa che l’ultima COP, dedicata alla catastrofe climatica in corso, si è tenuta in Qatar, un paese che galleggia su un mare di gas e petrolio, e la prossima sarà dall’11 al 22 novembre in Azerbaijan, che deve la propria fortuna sull’essere un hub energetico basato principalmente sulle fonti fossili, si comprende bene che la logica del profitto prevale su qualunque, sempre ambiguo, progetto di transizione ecologica.
La transizione ecologica deve essere un buon affare: finché non lo sarà le fonti fossili continueranno ad essere la scelta privilegiata dei governi e delle multinazionali energetiche.
La campagna di Plenitude è martellante. Spot, cartelloni, banner, eventi, inserzioni pubblicitarie mostrano scenari di “decarbonizzazione”, “economia circolare”, “sostenibilità”. Nel 2019 l’amministratore delegato Claudio Descalzi ha parlato di una “chiamata collettiva all’azione”, dell’assunzione di “grandi responsabilità” di fronte alla “necessità di intervenire attivamente nel contrastare i cambiamenti climatici”.
Chiacchiere e fumo negli occhi.
Quest’anno ENI ha detto chiaro e tondo che le rinnovabili costano molto e rendono poco, per cui l’Ente Nazionale Idrocarburi continuerà ad investire in modo massiccio in gas e petrolio.
Dal 2019 ad oggi, grazie ad una serie di acquisizioni ENI è divenuta “la seconda più grande compagnia E&P – esplorazione e produzione – in Norvegia, con riserve e risorse totali pari a circa 1,9 miliardi di barili di petrolio”
Nelle acque profonde del bacino di “Kutei”, in Indonesia, Eni si è invece aggiudicata nel 2019 il blocco esplorativo di West Ganal, con i 17 miliardi di metri cubi di gas del giacimento “scoperto” denominato Maha.
Lo sfruttamento dei giacimenti di gas egiziano hanno raggiunto livelli record.
Questi sono solo alcuni esempi.
Il 14 marzo di quest’anno ha presentato il suo Capital markets update 2024-2027, con cui il Cane a sei zampe traccia il piano di sviluppo industriale per i prossimi anni.
L’elemento centrale resta l’esplorazione e produzione di combustibili fossili: l’ENI invece di rallentare accelera. «La produzione Upstream è prevista crescere a un tasso medio annuo del 3-4% fino al 2027». Questa scelta, in netto contrasto con quanto dichiarato nel 2021, porterà ad un aumento significativo delle emissioni climaticide.
Secondo Greenpeace Italia, ReCommon e Reclaim Finance, che hanno realizzato un’analisi della strategia climatica del Cane a sei zampe, da qui al 2027 «Eni prevede di aumentare la produzione di petrolio e gas e di mantenerla costante fino al 2030. Così facendo, la sua produzione sarà superiore di ben il 71% rispetto allo scenario emissioni nette zero».
Restano marginali le attività sull’energia pulita: «Per ogni euro investito da Eni in combustibili fossili, meno di sette centesimi sono stati investiti in energie rinnovabili sostenibili»
Altra costante è la stretta interconnessione tra numerose missioni militari italiane in Africa (ma non solo) e gli interessi dell’ENI.

Missioni militari all’estero tra gas, petrolio e uranio
La diplomazia in armi del governo per garantire i profitti della multinazionale petrolifera va dalla Libia al Sahel al Golfo di Guinea. Queste aree hanno un’importanza strategica per gli interessi dell’ENI, perché vi si trovano i maggiori produttori africani di gas e petrolio. L’obiettivo è la protezione delle piattaforme offshore e degli impianti di estrazione.
L’ENI rappresenta oggi la punta di diamante del colonialismo italiano in Africa.
La bandiera con il cane a sei zampe dell’ENI sventola a fianco di quella tricolore in luoghi in cui la desertificazione e la predazione delle risorse macinano le vite di tanta parte di chi ci vive.
Alla guerra neocoloniale per il controllo delle risorse energetiche si accompagna l’offensiva contro le persone in viaggio, per ricacciare i migranti nelle galere libiche, dove torture, stupri e omicidi sono fatti normali. Le migrazioni verso i paesi ricchi sono frutto della ferocia predatoria delle politiche neocoloniali.

Niger. La nuova frontiera del colonialismo made in Italy
Settanta milioni di euro. È la cifra stanziata nel luglio 2022 dall’Unione Europea per supportare l’esercito del Niger. Soldi che Bruxelles ha difficoltà a gestire da quando, a fine luglio 2023, a Niamey i militari guidati dal generale Abdourahamane Tchiani hanno deposto il presidente Mohamed Bazoum.
Alcuni degli stati membri dell’Unione di maggior peso hanno posizioni divergenti sull’argomento. Francia e Germania, ad esempio, spingono per ritirare i fondi e destinarli ad altri stati dell’Africa occidentale. L’Italia, invece, punta a mantenere un dialogo con Niamey e trovare un compromesso con la giunta militare al potere, l’autoproclamato Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria.
I 70 milioni di euro stanziati dall’UE per equipaggiare le forze armate nigerine sono infatti gestiti per conto dell’Unione dall’Agenzia Industrie Difesa (AID), ente controllato dal ministero della Difesa italiano. Un bel gruzzolo per mantenere la propria presenza militare in Niger, dopo la cacciata dei francesi e, più recentemente, degli statunitensi, cui è stato intimato di abbandonare la base per droni di Agadez. Nel frattempo nel paese subsahariano, al di là dei toni da revanche anticoloniale adottati dai nuovi signori di Niamey, si sono affacciati ed insediati altri attori, la Cina e, dall’11 aprile, i russi degli Africa Corps (ex Wagner), che pur non essendo truppe regolari, sarebbero dipendenti statali, non mercenari privati.
L’Italia mantiene buoni rapporti con i golpisti al governo ed intende restare nel paese, dove da due anni ha una propria base. Il governo Meloni ha dichiarato che i militari italiani riprenderanno l’addestramento delle truppe nigerine.
Il contingente militare tricolore è un tassello fondamentale nell’esternalizzazione della guerra ai migranti e, non secondariamente, per il controllo delle risorse di uranio del paese. L’uranio è alla base del combustibile per le centrali nucleari e per le bombe atomiche.
In Italia la propaganda pro nucleare, ormai sdoganato dalle Cop come fonte equiparabile alle rinnovabili, è sempre più martellante.
Tra uranio, migranti e ridefinizione degli equilibri e delle aree di influenza l’imperialismo italiano prova a scavarsi il proprio spazio.

Il gas azero, la questione armena, le armi di Leonardo
La repubblica di Artsakh, un’enclave in territorio azero,costituitasi tra il 1992 e il 1994, non esiste più: nel settembre del 2023, dopo un anno di assedio, è stata occupata dalle truppe azere con un’operazione di pulizia etnica che ha portato all’espulsione di oltre 100mila armeni. Pochi mesi prima Leonardo con il beneplacito del ministro della Difesa Crosetto aveva fornito aerei militari e missili che sono stati impiegati nella guerra all’Artsakh da militari addestrati nel nostro paese.
L’apertura verso il regime di Baku da parte di tutta l’Unione Europea ha una ragione precisa: il gas azero, che ha in buona parte sostituito quello russo nella fornitura all’Europa.
Nel 2023 le importazioni di gas russo in Europa sono crollate: dal 42% del 2021 al 14%.
Per questa ragione nessuno ha mosso un dito per la popolazione armena costretta alla fuga ed è probabile che se l’Azerbaijan dovesse attaccare ed annettere il sud dell’Armenia, come promette da tempo, lo scenario non si modificherebbe. E per chi ha giustamente da ridire sulla dittatura putiniana e i i suoi metodi spicci e brutali, bisognerebbe ricordare che Ilham Aliyev si comporta con eleganza pari al suo omologo di Mosca.
La connessione tra scelte energetiche, interessi dell’ENI e guerra con armi made in Italy, sono del tutto trasparenti.

Dal 28 al 30 aprile nella Reggia di Venaria 7 tra i principali responsabili di guerre, inquinamento, sfruttamento, catastrofe climatica si siederanno ad un tavolo per mettere in scena un spettacolo che mescolerà dichiarazioni altisonanti sul pianeta, con chiacchiere sullo sviluppo e il benessere, che, ancora una volta saranno legati all’aumento infinito della produzione.

Opporci alla guerra, alla logica del profitto è una delle chiavi per rallentare la catastrofe ambientale in corso.

Fermarli è possibile. Fermarli è necessario.
A partire da casa nostra.
Lottiamo contro il neocolonialismo tricolore, boicottiamo l’ENI e le fabbriche d’armi, impediamo il ritorno del nucleare, blocchiamo le missioni militari all’estero.

Domenica 28 aprile
ore 14
parco Galileo Galilei a Venaria (TO)
spezzone Antimilitarista
contro il G7 energia e ambiente
contro l’ENI, la logica estrattivista, le missioni militari neocoloniali dell’Italia

Assemblea Antimilitarista di Torino