Ha destato scalpore il trionfo alle elezioni argentine di Javier Milei.
Per vincerle ha costruito un personaggio che interpreta il ruolo di anticasta. Ha una pettinatura di chi la mattina, invece di usare il pettine, mette le dita nella presa elettrica. Ha un atteggiamento psicotico (non si sa se naturale o indotto) tanto da essere soprannominato “el loco” (il matto). Nei suoi comizi sottolinea le sue affermazioni usando una motosega. Ha dichiarato che la politica economica gliela suggerisce il suo cane, morto qualche anno fa, attraverso una medium.
Per completare il quadro ha anche dichiarato di essere “anarcocapitalista”, un’etichetta appiccicata nella narrazione mediatica ai teorici del liberismo capitalista selvaggio e da loro rifiutata. Lo stesso teorico a cui Milei dichiara di ispirarsi, Murray Rothbard, rifiutava qualsiasi associazione all’anarchismo. Del resto l’anarchismo è nato proprio dal rifiuto della proprietà privata (“Cos’è la proprietà? Un furto”), mentre questi teorici del libertarianismo dichiarano la proprietà sacra ed inviolabile e considerano invece la giustizia sociale come un furto.
Chi pensava che un personaggio così non potesse ispirare fiducia agli argentini non ha tenuto presente chi fosse lo sfidante, il peronista Sergio Massa, che benché sia un personaggio puntuto e compito, ha condotto – da superministro dell’economia del governo uscente – l’Argentina nel baratro finanziario in cui si trova.
Dopo il default del 2020 nessuna persona che non voglia buttare i propri soldi comprerebbe titoli del debito argentino. Il governo argentino ha deciso di fare quello che in economia si chiama monetizzare il debito: per pagare il deficit si è messo a stampare moneta. Ne ha stampata talmente tanta che non bastava più la zecca di stato in funzione 24 ore su 24 tutti i giorni, ma ha dovuto far stampare i pesos anche dalle zecche di Brasile e Spagna.
Il risultato è stato che l’Argentina si è ritrovata con l’inflazione al 140%. Nel mondo solo Libano, Venezuela e Sud Sudan ce l’hanno più alta. I tassi d’interesse argentini sono al 97%. Il cambio “ufficiale” tra il pesos argentino ed il dollaro statunitense è a 365 pesos per dollaro mentre il cambio nero, a cui tutti ricorrono per salvare i propri risparmi, è a 1.000 pesos per dollaro.
Il 40% della popolazione argentina è sotto la soglia di povertà assoluta e un terzo della popolazione (e due terzi dei bambini) soffre di carenze alimentari moderate o severe. Carenze alimentari paradossali in un paese che ha nell’esportazione agroalimentare una delle sue caratteristiche economiche. La popolazione sopravvive con i sussidi governativi e con la criminalità: il narcotraffico è aumentato così come le attività criminali connesse.
Massa ha provato a farsi campagna elettorale utilizzando le risorse pubbliche per sussidi, tagli di tasse, restituzioni di IVA. Ma è servito a poco: per farlo ha dovuto stampare altra moneta e la situazione ha continuato a peggiorare
Contro un personaggio così alle elezioni avrebbe vinto chiunque, figurarsi uno che prometteva di cambiare tutto a colpi di motosega.
Il problema è che il cambiamento che promette Milei non farà che peggiorare la situazione.
Vuole sostituire, come moneta argentina, il peso con il dollaro statunitense. Sopravvoliamo sul fatto che, per poter usare dei dollari il requisito indispensabile è averne, ed oggi l’Argentina non li ha. Il problema è che quando utilizzi la moneta di un altro stato, tutta la politica monetaria, i rapporti di cambio, i tassi d’interesse li fissa l’altro stato sulla base delle proprie esigenze, non di quelle di chi usa la sua valuta.
In passato era già successo, proprio in Argentina, con il governo Memen. Fissò il cambio pesos-dollaro a 1:1. In 10 anni crollò completamente l’economia argentina fino ad arrivare al default del 2002.
Anche gli altri stati americani, Ecuador e Salvador, che hanno “dollarizzato” la loro economia non se la passano affatto bene. In Ecuador ci sono stati 2 default da quando ha iniziato a usare il dollaro e tutta l’economia è bloccata da 10 anni. El Salvador ha provato a superare la situazione di stagnazione in cui è finito dopo l’adozione del dollaro come valuta decidendo 2 anni fa di adottare il bitcoin come altra valuta avente corso legale, senza alcun risultato.
Se Milei dovesse effettivamente procedere alla sostituzione del peso con il dollaro il problema non sarà “se” ci sarà un ennesimo default argentino, ma solo “quando” sarà.
Oltretutto questa scelta va in assoluta controtendenza rispetto alla politica estera seguita negli ultimi anni dall’Argentina.
Fino ad oggi l’Argentina sgomitava per entrare nei BRICS, che è un acronimo che sta per Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Si tratta di paesi con economie “emergenti” che stanno realizzando progetti multilaterali per acquisire maggior peso nel contesto mondiale.
Il G7, che viene ancora oggi presentato come l’insieme dei paesi con i PIL più alti del mondo, è una fotografia storica. Cina ed India hanno già superato la maggior parte dei paesi del G7 per ammontare di PIL nominale e la Cina ha addirittura superato gli USA per PIL calcolato a parità di potere d’acquisto. Il G7 è diventato un USA fan club e serve a far rispettare l’egemonia statunitense in un mondo globalizzato.
Nulla di strano che gli altri paesi, in primo luogo la Cina, vogliano affrancarsi da questa situazione.
Nel vertice dei BRICS dello scorso agosto hanno perciò deciso di non usare più il dollaro come valuta di scambio nelle transazioni tra loro, hanno creato la New Development Bank per sostituire il FMI nei prestiti alle economie nazionali ed hanno deciso di allargare la partecipazione ai BRICS anche a Argentina, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iran ed Etiopia.
È chiaro che queste scelte argentine significano l’uscita immediata da questo processo, così come l’uscita dall’altro processo di integrazione delle economie sudamericane attraverso il Mercosur con Brasile, Uruguay e Paraguay.
L’unica speranza di Milei per ritardare il disastro è proprio nell’acquiescenza degli USA e delle istituzioni pubbliche, internazionali o private gestite dagli USA nei suoi confronti e quanto credito gli faranno prima di spingere l’Argentina verso l’ennesimo default.
L’altra proposta economica di Milei, quella dei tagli al bilancio pubblico, determinerà un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita degli argentini poveri, che vivono di quei sussidi pubblici che saranno i primi ad essere tagliati. In compenso il taglio delle tasse determinerà un ulteriore arricchimento degli argentini ricchi, che in questi anni hanno aumentato la propria prosperità proprio con l’impoverimento del resto della popolazione.
L’Argentina è un paese con una forte sindacalizzazione e una buona dose di protagonismo sociale: non c’è giorno senza un corteo sotto la Casa Rosada, la sede istituzionale della Presidenza della Repubblica argentina.
L’altra faccia del governo Milei sarà perciò la repressione selvaggia delle proteste. A questo penserà la sua vicepresidente Victoria Villareal, proveniente da una famiglia di militari, divenuta famosa per essere stata l’avvocato di molti militari golpisti nei processi sui desaparecidos.
Il suo progetto di “liberare il paese dai comunisti” (intendendo con “comunisti” qualsiasi tipo di opposizione alle sue politiche) sarà realizzato attingendo al vecchio arsenale dei militari ex golpisti ed utilizzando gli stessi metodi.
Così come andrà avanti la compressione dei diritti civili e delle donne in particolare. La volontà di proibire nuovamente l’aborto (legalizzato solo 5 anni fa) e di “combattere le politiche femministe” in un paese culturalmente patriarcale e machista come l’Argentina, significa riportare indietro l’orologio della storia sulla condizione femminile in quel paese.
La prima cosa che farà però Milei sarà probabilmente quella di privatizzare tutto il possibile.
C’è in scadenza la restituzione di un prestito con il FMI per 44 miliardi di dollari. Ha anche necessità di dollari da utilizzare nelle transazioni interne (verosimilmente prima affiancando, poi sostituendo il peso).
Finora l’Argentina è stata sostenuta dalla Cina per ripagare gli interessi sui debiti contratti. Sicuramente, per la scelte fatte, la Cina non rinnoverà il proprio sostegno.
Sarà facile per Milei appellarsi all’emergenza e procedere speditamente con le privatizzazioni, anche se la scelta di quanto e cosa privatizzare dipenderà dallo spazio che gli lasceranno i suoi alleati di governo.
La sua vittoria presidenziale non ha portato al successo il suo partito “Libertad Avanza” che ha ottenuto solo 38 deputati su 257 e 7 senatori su 72. Oltretutto, siccome l’Argentina è uno stato federale, il suo partito non controlla nessuna delle 23 provincie e non ha quasi nessun sindaco. Si dovrà quindi alleare con Mauricio Macrì ex presidente argentino dal 2015 al 2019 e leader della destra più moderata di Juntos por el cambio, che già lo aveva appoggiato al ballottaggio.
Una privatizzazione però Milei la farà sicuramente ed in tempi brevi: regalerà agli statunitensi l’estrazione del litio presente nel paese.
Il litio è un metallo alcalino fondamentale nella realizzazione delle batterie elettriche. Con la decarbonizzazione è aumentata esponenzialmente la richiesta mondiale ed i prezzi sono aumentati di conseguenza. Il 65% delle riserve di litio sulla terra sono nel “triangolo del litio”: un’area divisa tra il nord est dell’Argentina, il nord del Cile e il sud della Bolivia.
La Bolivia (che ha un litio di minore qualità, contenente magnesio, con maggiori costi d’estrazione) non ha avviato alcuna produzione industriale. Il Cile ha nazionalizzato le riserve di litio che è estratto direttamente dallo stato o da compagnie private con concessione statale e royalities che vanno dal 7% al 40% dipendenti dalla fascia di prezzo del metallo. L’Argentina invece ne estrae ancora pochissimo ed applica royalities pari solo al 3%. In Argentina al momento sono attive solo due compagnie cinesi (il gruppo Tsingshan e la Tibet Summit resurces).
Il costo monetario d’estrazione del litio in Argentina è relativamente basso: 5.000 dollari la tonnellata con un prezzo di mercato di oltre 70.000 dollari la tonnellata.
La tecnica d’estrazione usata in Argentina però e devastante per l’ambiente. Il litio si trova in grandi laghi salati sotterranei presenti in zone desertiche con scarsissime precipitazioni (il vicino deserto di Atacama, in Cile, è uno dei luoghi più aridi della terra). La tecnica di estrazione, detta della salamoia, consiste nel pompare l’acqua dei laghi sotteranei in grandi bacini, lasciarla evaporare e raccogliere il litio che rimane nelle vasche. Si sprecano 2 milioni di litri d’acqua per una tonnellata di litio. Pompare la falda acquifera e sprecare l’acqua, lasciandola evaporare, in zone desertiche e prive di risorse idriche significa prosciugare i pochi corsi fluviali e le zone umide presenti, rendendo l’area del tutto inabitabile per Omaguaca, Kolla, Ocloya e le oltre 400 comunità indigene che vivono in quelle terre.
Già prima di Milei la legislazione argentina aveva agevolato le estrazioni, oltre che con le royalities basse, anche modificando la costituzione provinciale per non riconoscere il diritto alla terra delle popolazioni residenti (che potrebbero così essere sfrattate da un giorno all’altro) e con nuove leggi di polizia per reprimere la protesta e le lotte dei popoli indigeni.
Milei, con il suo negazionismo sul cambiamento climatico, la sua esaltazione del capitalismo selvaggio e la negazione dei diritti individuali e collettivi da reprimere con forza, è l’uomo ideale per la gestione da parte degli USA di una risorsa strategica.
Milei avrebbe dovuto fare i comizi con una batteria al litio, non con una motosega.
(Fricche)