Torino 3 dicembre. Nonostante la pioggia, in piazza Castello un folto presidio di solidarietà con la popolazione del Rojava sotto attacco militare da due settimane si è trasformato in corteo. La manifestazione ha attraversato il centro ed ha raggiunto la RAI. Qui il tentativo di consegnare un comunicato è stato respinto a manganellate dalla polizia.
Dopo un lungo fronteggiamento il corteo è ripartito verso piazza Castello dove si è sciolto.

“Nella notte del 19 novembre le terre del Rojava e del sud del Kurdistan sono state bombardate dagli aerei del TSK (Esercito Turco). Le YPG hanno annunciato che il centro della città di Kobane, un ospedale sulla collina di Miştenur, la foresta di Kobane, una centrale elettrica, i granai e molti villaggi sono stati bombardati. Gli invasori, che non hanno ottenuto risultati con le armi chimiche e con numerose operazioni di invasione per mesi, hanno diretto questa volta i loro sforzi contro il Rojava, la terra della rivoluzione.”
Questo l’incipit del comunicato del gruppo/rivista Karala di Ankara sull’avvio dei bombardamenti su Kobane, città simbolo della rivoluzione che dal 2012 ha cambiato le relazioni politiche e sociali della gente che vive nella Siria del nord. Una sperimentazione che ha inaugurato una stagione di passaggio dalla rivendicazione di uno stato curdo alla costruzione di un percorso internazionalista all’insegna del rifiuto dei confini e degli stati nazione verso un federalismo dal basso, includente, plurale, femminista.

Oggi la Turchia, che utilizza armi vendute anche dall’Italia, vuole riportare indietro le lancette dell’orologio, distruggere il processo rivoluzionario, massacrando e costringendo all’esilio le popolazioni curdofone.
Il progetto neottomano di Erdogan riprende slancio, anche grazie all’appoggio dell’Unione Europea, che continua a pagare la Turchia perché blocchi i profughi di guerra.
Erdogan, che controlla il secondo esercito della Nato ma si muove con la disinvoltura di una potenza regionale che agisce in proprio, si è assunto il ruolo di mediatore nella guerra in Ucraina.
In questo contesto la Turchia ha le mani libere e potrebbe azzardare un’invasione di terra.
Impedirlo non è facile.
Solo la crescita in ogni dove di forti movimenti dal basso, come quelli che sostennero il Rojava durante l’invasione e l’assedio dell’Isis nel 2014, potrà gettare una manciata di sabbia nel motore della macchina da guerra turca.

Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere!

Con il Rojava per una libertà senza confini.