Il giorno della finale del song eurocontest, con il suo esito di guerra già scritto in troppo facili pronostici, una street di mostr* contro la città vetrina si è mossa per la città, per ribadire che le corpe dissidenti, non disponibili alla omo-normalizzazione proposta da anni attraverso la kermesse canora, portavano in piazza la voglia di squeertare su eurovision, rivendicando la propria incompatibilità a qualsiasi tentativo di rendere docili, brandizzabili, le vite ribelli, de-generi, non adattabili alla legge del padre, della patria, del padrone.
Apertamente schierate con i poveri sgomberati da piazza d’armi,
con chi lotta contro la guerra e chi la arma, contro la città dell’aerospazio e la Nato a Torino, con senza documenti, clandestin*, indecors*, con chi subirà sulla propria pelle altri tagli di scuola e sanità per pagare la vetrina sporca di Lo Russo. Il sindaco dichiara di aver “dedicato alla tutela dell’ambiente tutta la sua vita professionale”, ma ha consegnato il Valentino, parco urbano nel cuore di Torino alla folla dell’Eurovillage, chiudendolo alla normale fruizione di tutt* e trasformandolo in terra brulla cosparsa di lattine di birra. L’immondizia dopo la festa costata dieci milioni di euro.
Tra riqualificazioni escludenti, militarizzazione del territorio, grandi eventi e polo bellico
si dispiega lo scenario della città post Fiat, che diventa sempre più povera.
Sullo striscione di testa era scritto “Ma quale grande evento? È solo sfruttamento!”, perché la condizione dei volontar* che hanno lavorato gratis per 12 ore senza neppure poter condividere il pasto degli artisti, subendo le molestie di chi crede di potere tutto sono lo specchio della città ferocemente decorosa in cui siamo forzati a vivere. Il tutto all’insegna della pace e della queerness.
La lunga street di ieri si è riempita dei racconti di chi denuncia il pinkwashing, il peacewashing, la violenza delle istituzioni contro i corpi reclusi e negati dei senza carte rinchiusi nel CPR di corso Brunelleschi, dove il corteo si è fermato ed i partecipanti si sono riversati nel prato, scandendo slogan e cori solidali.
Altra sosta, con tanti interventi in piazza Marmolada, per poi approdare nella rotonda giardino di piazza R
obilant, dove la musica dei Dj set autogestiti che ha accompagnato l’intero percorso è esplosa in festa. Festa vera, senza sponsor, padrini, padroni, queerness di plastica.