Il governo ci ha rubato la libertà promettendo tutela e cure contro l’epidemia. Oggi sappiamo di aver perso la libertà senza ottenere alcuna sicurezza. Anzi!
In un anno di pandemia sono morte di covid oltre 120.000 persone, cui vanno aggiunte le decine di migliaia che hanno perso la vita, perché private di esami, visite, operazioni indispensabili per tenere sotto controllo le gravi patologie di cui erano affette.
Siamo di fronte ad una strage di Stato, frutto delle scelte criminali di tutti i governi degli ultimi decenni. La verità è davanti ai nostri occhi: sanità al collasso, aumento della spesa militare, sostegno alle grandi imprese, alla lobby del cemento e del tondino, all’industria bellica.
I posti letto scarseggiano, non ci sono strutture e personale per curare adeguatamente tutti. Ogni giorno muoiono centinaia di persone, ma 26,3 miliardi sono stati bruciati in spese militari.
I vaccini sono stati sperimentati con soldi pubblici, ma gli enormi profitti sono solo per Big Pharma.
I governi di oggi e di ieri hanno trasformato la salute in business. Solo i ricchi hanno accesso a prevenzione e cura. Per i poveri vivere o morire è un terno al lotto.
Per il governo le nostre vite non valgono al di fuori dalla gabbia del produci, consuma, crepa. La produzione non si deve fermare, costi quel che costi.
La chiamano pandemia ma è una sindemia, perché il virus colpisce e uccide soprattutto i più poveri, quelli che più degli altri sono colpiti da malattie croniche, che dipendono dallo stile di vita, dall’esposizione all’inquinamento, dal cibo spazzatura, dal mancato accesso a prevenzione e cura.
Il coprifuoco serale, inutile per contenere il virus, è mera ginnastica d’obbedienza, uno dei tanti dispositivi disciplinari sperimentati in vista di possibili insorgenze sociali.
La chiamano guerra al virus, ma è guerra ai poveri.
I militari sono per le strade dei quartieri dove arrivare a fine mese è sempre più difficile, dove si allungano le file dei senza casa, senza reddito, precari.
La gestione militare della pandemia ha reso normale l’esercito in strada per reprimere ogni insorgenza sociale, per mettere a tacere chiunque si ribelli ad un ordine sociale sempre più feroce.
Le nostre già esigue libertà politiche sono state ulteriormente compresse. Il governo vieta i cortei, mentre chi lavora o studia è obbligato a prendere autobus sovraffollati, stare compresso in fabbriche e magazzini insalubri, chiudersi in classi pollaio.

Draghi in questi giorni ha scoperto le carte, presentando il piano del governo per l’utilizzo del recovery fund europeo.
Quella montagna di soldi non verrà usata per rendere le nostre vite meno precarie con investimenti nella sanità, nella scuola, nei trasporti pubblici, nella messa in sicurezza dei territori, ma per foraggiare le imprese, soffocando ancor più nel cemento l’ambiente.
La crisi pandemica, dal punto di vista di chi non riesce ad arrivare a fine mese, è destinata a continuare.
Draghi, diversamente da Conte, che dava sussidi per garantirsi la pace sociale, punta tutto su un massiccio intervento statale nell’economia. Intendiamoci. Niente a che fare con qualsiasi prospettiva neokeynesiana: Draghi sostiene la tesi squisitamente liberale che la crescita della produzione, degli scambi, dei guadagni, sarà un vantaggio per tutt*. Quindi scommette su investimenti a favore delle imprese, privatizzazione dei servizi pubblici urbani dall’acqua ai trasporti, dall’assistenza agli hub vaccinali, limitandosi a introdurre meccanismi che favoriscano pari opportunità a giovani, donne, disabili.
Le pari opportunità non hanno nulla a che fare con l’uguaglianza, sono solo trappole per agguantare consensi e nulla più.
Il suo governo sosterrà le aziende grandi e piccole, ridurrà il controllo delle amministrazioni locali sui servizi, investirà per digitalizzare l’insegnamento, senza mettere un euro per migliorare le scuole o stabilizzare i precari. La scuola è concepita come servizio diretto ed orientato dalle imprese.
Quota cento è stata cancellata e l’età pensionabile, in teoria proporzionale all’aspettativa di vita, resterà bloccata per sei anni a 67 anni, nonostante, con il covid, tale aspettativa si sia ridotta di un anno e mezzo.
Poi ci sono i tanti regali ai signori del cemento e del tondino. I soldi del recovery vanno spesi entro il 2026, quindi Draghi pigia l’acceleratore.
I frutti della fretta del drago sono tutti avvelenati. Verrà sospeso il sistema degli appalti, per passare alla trattativa diretta. Le procedure autorizzative di un’opera potranno essere eluse, perché il governo avoca a se il potere di autorizzarla.
Per il trattamento dei rifiuti, compresi quelli pericolosi, basterà un’autocertificazione, per sottrarsi ai passaggi e ai controlli previsti.
Con buona pace delle chiacchiere sull’ambiente, il clima, la qualità di aria e acqua, la “transizione ecologica” è solo un altro buon affare dipinto di verde.
L’accelerazione impressa all’avanzare dei cantieri in Val Susa è il segno che il governo intente mettere il turbo anche su questo fronte, in un crescendo di violenza ed occupazione militare del territorio, che spera sia di monito a tutte le popolazioni che in questi anni si sono battute contro discariche, inceneritori, megainfrastrutture, grandi navi, etc…
In questo momento la lotta contro chi governa e chi sfrutta e comanda, la lotta contro stato e padroni è la sola garanzia di poter spezzare un’ordine, che si sta rinforzando facendo leva sulla paura. Paura del virus, paura di morire e, insieme, paura di perdere lavori pericolosi e malpagati. Una vita sotto ricatto. Una situazione intollerabile.
Lo stato d’emergenza è diventato permanente.
I tanti provvedimenti repressivi messi in campo nell’ultimo decennio per dare scacco agli indesiderabili, ai corpi in eccesso, ai sovversivi non sono sufficienti per un governo che ha deciso di mettere sotto controllo militare l’intera popolazione.
Presto finiranno blocco degli sfratti e cassa integrazione, presto gli ultimi saranno chiamati a pagare un prezzo ancora più alto per la crisi pandemica.
Le restrizioni imposte da Draghi e dai suoi predecessori non basteranno a fermare il virus. Un virus che continuerà a correre finché la logica del profitto e della guerra sarà più importante delle nostre stesse vite.
Salute e giustizia sociale vanno di pari passo.
I fascisti vanno in piazza a gridare “libertà”, ma la libertà che vogliono è solo quella di far girare le merci, i soldi, la produzione, la libertà di sfruttare le nostre vite anche in tempo di pandemia.
I fascisti sono al servizio di chi si arricchisce adoperando le nostre vite come giocattoli usa e getta.
La libertà, quella vera, quella che cresce nella partecipazione attiva di tutt*, quella che si impasta con la solidarietà e le relazioni egualitarie, è nelle nostre mani.
Il governo ha appena deciso di costruire una nuova base militare in Niger, un avamposto per gli interessi dell’ENI in Africa. Ogni sei mesi vengono rifinanziate le missioni militari. Sono oltre 40, tra cui spiccano quelle in Libia, Iraq, Niger, Afganistan, Libano, Balcani e Lettonia, per una cifra complessiva che supera ampiamente il miliardo di euro.
Negli ultimi mesi si sono aperti altri fronti dalla Libia al Sahel sino al Golfo di Guinea ed è cresciuto il numero di militari impiegati, che ha toccato gli 8.613.
Provate ad immaginare quanto migliori sarebbero le nostre vite se i miliardi impiegati per ricacciare uomini, donne e bambini nei lager libici, per garantire gli interessi dell’ENI in Africa, per investire in armamenti, militari nelle strade delle nostre periferie fossero usati per scuola, sanità, trasporti.
Ma immaginare non basta. Occorre mutare paradigma.
Servono cambiamenti radicali. Inutile crogiolarsi nella riproposizione di una prospettiva welfarista oggi inattingibile. L’illusione welfarista consegna una delega in bianco allo Stato, che oggi, quando è sotto forte pressione, si limita a elemosine.
Costruiamo assemblee territoriali, spazi, scuole, trasporti, ambulatori autogestiti. Ci raccontano la favola che una società complessa è ingovernabile dal basso mentre ci annegano nel caos della gestione centralizzata e burocratica delle scuole, degli ospedali, dei trasporti. La logica è quella del controllo e degli affari. Occorre spezzarla.
È urgente cambiare la rotta. Con l’azione diretta, costruendo spazi politici non statali, moltiplicando le esperienze di autogestione, costruendo reti sociali che sappiano inceppare la macchina e rendano efficaci gli scioperi e le lotte territoriali.

Un mondo senza sfruttati né sfruttatori, senza servi né padroni, un mondo di liberi ed eguali è possibile.
Tocca a noi costruirlo.

Primo Maggio anarchico a Torino
giornata di sciopero e di lotta
ore 9 corteo da piazza Vittorio
Liberiamoci di Stato, padroni, eserciti!

Terminato il corteo ci troviamo al parco Dora per un momento di libera convivialità, interventi, pranzo benefit lotte sociali.

Federazione Anarchica Torinese
Corso Palermo 46 – riunioni – aperte agli interessati – ogni mercoledì alle 17,30
contatti: fai_torino@autistici.org – www.anarresinfo.org – fb: @senzafrontiere.to