Le sponde della Dora tra corso Giulio Cesare e il Campus Einaudi, sono diventate luogo della feroce guerra ai tanti poveri che ci abitano. Tra riqualificazioni escludenti, polizia e pinkwashing il governo della città (e della circoscrizione) affida ai privati la gestione degli spazi pubblici, che vengono trasformati in luoghi di consumo inaccessibili ai più.
Nel tratto limitrofo al ponte Carpanini, il ponte di ferro dedicato al vicesindaco con fama da sceriffo, ci sono un paio di bar e qualche negozietto.
Qui l
a guerra ai poveri si veste di arcobaleno.
Il proprietario di Pausa Caffè, bar glbtqi+ friendly, ha collaborato attivamente al progetto “sponde sicure”, il cui scopo dichiarato è “aumentare la percezione della sicurezza lungo le sponde della Dora”.
L’attivismo securitario di questo signore lo vede da anni al servizio della polizia, di cui si è dichiarato in modo esplicito un informatore.
Il dehor del suo bar si è esteso lungo le sponde del fiume, sottraendone un ampio tratto alla pubblica fruizione di chi ci abita e di chi ci passa
qualche ora.
Una decina di giorni fa due froce non conformi, indisponibili all’operazione di pinkwashing attuata da Pausa Caffè, hanno scritto con i gessetti sul marciapiede del lungo Dora “Essere froci
e non basta”.
Fotografate e sbattute sui social, poi
sui media main stream le due compagnu sono state accusate di essere anarcomofobe, il tutto condito da ameni epiteti come “puttana”.
Giovedì 30 giugno un grosso gruppo di frocie del Free(k) Pride si sono date appuntamento per un bivacco indecoroso sulle rive della Dora, che nel frattempo erano state insozzate con olio esausto, perché i poveri non potessero appoggiarvisi per fare quattro chiacchiere, sorseggiando le birre comprate da un negozietto che il patron di Pausa Caffè definisce “finto minimarket”. Non possiamo sapere chi lo abbia fatto, ma sappiamo che nel recente passato rendere inabitabile il parapetto della Dora era uno sport rivendicato dal proprietario di Pausa Caffé.
Il bivacco, molto partecipato, è presto dilagato in strada, dove si sono susseguiti interventi, balli e socialità spontanea.
Alcun* abitant* della zona si sono avvicinat* curios*.
Poi è partito un minicorteo diretto al circolo “Il Mossetto”, protagonista qualche giorno prima di una selezione degli ingressi di chiaro segno razzista.
Per qualche ora il lungo Dora è stato un luogo aperto
a tutt*.
Riprendersi le strade, le piazze, i lungo fiume è possibile: i corpi dissidenti, costitutivamente “osceni”, fuori dalla scena, fuori dallo spettacolo della merce rendono sicura la nostra città. Siamo libere mostre indisponibili ad adeguarci al ruolo di frocie per bene, che aspirano a famiglie disegnate sul modello patriarcale, adattate alla logica binaria che governa i generi. Una gabbia. La gabbia del patriarcato che si tinge di rosa.
Il nostro è un tempo altro, quello di chi lotta contro il capitalismo, lo sfruttamento, la gerarchia, a fianco delle persone trattate come vuoti a perdere, nella giostra della Torino in corso di gentrificazione, tra i localini sorti intorno al campus e l’area di Ponte Mosca, dove sono cominciati i lavori per lo Student Hotel.
Nella settimana dal 28 giugno al 3 luglio del 1969 i moti dello Stonewell Inn a New York diedero uno scossone alla nostra storia. In prima fila c’erano persone razzializzate, sex worker, disprezzate e umiliate, che alzarono la testa e si ribellarono ai soprusi della polizia.
Il Primo Pride fu una rivolta. Il resto è solo Pausa Caffè in mise arcobaleno.