La scuola di stato ha riaperto i battenti a settembre dopo il lockdown. Inutile dire che tutto è come prima, peggio di prima.
Qualche banco nuovo e tanto fumo negli occhi: nessuna messa in sicurezza degli edifici, nessuno spazio in più, nessuna nuova assunzione per oltrepassare le classi pollaio. I precari non sono stati stabilizzati, mentre le nomine sulle cattedre vuote sono nel caos, tra graduatorie sbagliate e chiamate on line.
Gli insegnanti “covid”, se mai verranno nominati, sono lavoratori usa e getta: in caso di
nuova chiusura o dell’esaurirsi della pandemia, verranno licenziati senza indennizzo.
Sulla didattica digitale, in caso di lockdown, non c’è alcuna garanzia di accesso all’istruzione per tutt. Servirebbero dispositivi in comodato d’uso per studenti e insegnanti, remunerare l’aggravio di lavoro, ricompensare l’uso di mezzi propri nello svolgimento delle attività. Sarebbe opportuno proteggere i dati personali, evitando di trasformare le scuole in una sorta di palestra gratuita dove le imprese del settore possano testare gratuitamente i propri prodotti commerciali, far tesoro delle informazioni così raccolte e, magari, commerciare i dati di navigazione.
Nessuna tutela è stata prevista per lavoratori e studenti fragili, al di là di disposizioni palliative su banchi, temperature e mascherine, che, dentro scuole sovraffollate, paiono del tutto insufficienti.

Ci raccontano che non ci sono i soldi per la scuola. Mentono.

Le spese militari in Italia crescono da anni, così come i tagli alla scuola, alla sanità, ai trasporti.
Per chi se le può permettere ci sono le cliniche private, la prevenzione, le cure. Per gli altri la vita, specie in questi mesi, è diventata un terno al lotto.
Per chi se le può permettere ci sono scuole private, corsi di formazione all’estero, aule grandi e spazi all’aperto. Per gli altri le classi pollaio, i docenti usa e getta, le scuole che ti crollano addosso.
Per chi se li può permettere ci sono i trasporti privati, per gli altri lunghe attese di autobus sovraffollati e costosi.

Ma a decidere non è mai il destino. Decidono padroni e governi.
Sono loro che hanno scelto dove e come investire, dove e perché spendere il denaro sottratto alle nostre buste paga.
La spesa militare è passata dall’1,25 per cento del Pil fino a raggiungere un picco del 1,45 per cento mentre quella sanitaria è scesa di un punto percentuale.
Nel 2020 sono stati stanziati circa 26,3 miliardi in spese militari, un miliardo e mezzo in più rispetto al 2019. 5,9 miliardi di euro sono destinati all’acquisto di nuovi sistemi d’arma.
In estate il governo ha deciso il rifinanziamento delle missioni militari. Riconfermate le oltre 40 missioni dello scorso anno, tra cui spiccano quelle in Libia, Iraq, Niger, Afganistan, Libano, Balcani e Lettonia, per una cifra complessiva che, in linea con gli anni precedenti, supera ampiamente il miliardo di euro.
Si aprono altri fronti dalla Libia al Sahel sino al Golfo di Guinea e cresce il numero di militari impiegati, che tocca gli 8.613.

Provate ad immaginare quanto migliori sarebbero le nostre vite se i miliardi impiegati per ricacciare uomini, donne e bambini nei lager libici, per garantire gli interessi dell’ENi in Africa, per investire in armamenti, militari nelle strade delle nostre periferie fossero usati per scuola, sanità, trasporti.

Ma immaginare non basta. Occorre mutare paradigma.
Le scuole statali si confermano sempre più come spazi-deposito per bambin* e ragazz*. In una società ancora prevalentemente familista e fondata sullo sfruttamento del lavoro il governo fornisce spazi dove i minorenni possano trascorrere il tempo in cui i genitori lavorano. Spazi di socializzazione autoritaria, dove allenarsi alla flessibilità e all’obbedienza, per essere pronti ad un futuro che sarà sempre più precario.

Servono cambiamenti radicali. Inutile crogiolarsi nella riproposizione di una prospettiva welfarista oggi inattingibile. L’illusione welfarista consegna una delega in bianco allo Stato, che oggi, quando è sotto forte pressione, si limita a elemosine.
Costruiamo assemblee territoriali, spazi, scuole, trasporti, ambulatori autogestiti. Ci raccontano la favola che una società complessa è ingovernabile dal basso mentre ci annegano nel caos della gestione centralizzata e burocratica delle scuole, degli ospedali, dei trasporti. La logica è quella del controllo e degli affari. Occorre spezzarla.

È urgente cambiare la rotta. Con l’azione diretta, costruendo spazi politici non statali, moltiplicando le esperienze di autogestione, costruendo reti sociali che sappiano inceppare la macchina e rendano efficaci gli scioperi e le lotte territoriali.

Un mondo senza sfruttati né sfruttatori, senza servi né padroni, un mondo di liberi ed eguali è possibile.
Tocca a noi costruirlo.

Venerdì 25 settembre sciopero generale della scuola.
Torino. Appuntamento all’USR – ufficio scolastico regionale – in corso Vittorio Emanuele II 70 alle 9

Federazione Anarchica Torinese
Corso Palermo 46 – riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì alle 21
contatti: fai_torino@autistici.orgwww.anarresinfo.org – fb: @senzafrontiere.to